Un lavoratore felice non è fine a sé stesso, ma ha un impatto positivo sull’andamento aziendale in termini sia di costi sia di produttività.
I lavoratori italiani sono tra i meno coinvolti e tra i più esposti a rischio di stress sul lavoro in Europa. La motivazione principale di chi cambia lavoro riguarda la scarsa attenzione dell’impresa verso il benessere individuale. Lo rivela lo studio di Jointly e TEHA “Benessere e produttività: i benefici economici del Corporate Wellbeing e i costi del ‘non fare’ per le aziende”.
Secondo lo State of the Global Workplace Report di Gallup, l’Italia è terzultima in Europa per grado di coinvolgimento dei lavoratori.
– L’8% dichiara di sentirsi coinvolto;
– Il 67% fa il minimo indispensabile;
– Il 25% è attivamente non coinvolto, cioè va volutamente contro le indicazioni del datore di lavoro, sabotando l’azienda.
Quali sono però le conseguenze concrete dell’infelicità dei lavoratori?
Nell’ultimo anno quasi 1 su 2 (42%) ha cambiato lavoro o ha pensato di farlo a breve. Sempre stando all’analisi “Benessere e produttività” di Jointly e TEHA, un ricambio frequente di lavoratori porta con sé una serie di costi diretti e indiretti:
– costo di assunzione (tra cui anche pubblicità, interviste, screening, ricorso a società di recruiting);
– costo della formazione (tra il 10 e il 20% dello stipendio di un dipendente in formazione);
– costi nascosti (come perdita di coinvolgimento, relazioni dirette con i clienti da rinnovare ecc.
Un lavoratore che si dimette ha un costo medio per l’azienda pari a circa il 50% della sua Retribuzione Annuale Lorda. Considerando la RAL media a livello nazionale, l’impatto negativo è compreso tra 11.000 e 13.000 euro.
Questo significa che un lavoratore felice non è fine a sé stesso, ma ha un impatto positivo sull’andamento aziendale, sia in termini di produttività sia perché, come abbiamo visto, le dimissioni costano molto all’azienda.
Jointly e TEHA rilevano che questo è il primo anno in cui la ricerca di maggior benessere fisico e mentale è la causa principale delle dimissioni dei lavoratori (36%), a riprova di una loro maggiore attenzione alla propria salute mentale.
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