Con il settore del turismo in crisi il segmento luxury è in grave difficoltà, ma sta già pensando a nuove strategie per compensare le perdite e riorganizzare le entrate

Anno di sfide e difficoltà, questo 2020. Un anno in cui abbiamo affrontato (e stiamo affrontando) cambiamenti inaspettati. L’emergenza sanitaria ha generato una nuova crisi che ha colpito quasi tutti i settori, ma per alcuni la ripresa è particolarmente difficile. Quest’estate, ad esempio, i riflettori erano puntati sull’hospitality, che ha dovuto fare a meno di molti turisti stranieri, anche se ha recuperato qualche punto grazie al turismo interno. Insomma, il turismo in crisi ha coinvolto vari segmenti, e il lusso è sicuramente quello maggiormente in difficoltà.

L’hospitality di lusso fa i conti con la crisi

Con la quasi totale assenza di turisti stranieri in Italia, abbiamo assistito ad una perdita di circa 13 miliardi di euro solo nei mesi di luglio, agosto e settembre. A farne le spese sono state per lo più le strutture ricettive di lusso. Basti pensare che negli hotel a 5 stelle si è registrato un calo di presenze dell’80% e che molti di questi hanno deciso di non riaprire i battenti dopo i mesi di lockdown.

Gli ospiti degli alberghi di lusso provenivano, infatti, da USA, Cina, Giappone, Australia e Russia, e in loro assenza le perdite hanno riguardato non solo l’hospitality, ma anche la ristorazione e lo shopping di lusso (di cui parleremo più avanti).

L’emergenza sanitaria e le conseguenti limitazioni agli spostamenti internazionali impongono, quindi, un cambio di strategia: gli italiani dovranno tornare ad essere il target primario di riferimento e le strutture dovranno soddisfare al meglio le esigenze della clientela locale, sia nel comparto turistico che in quello business. Insomma, con il turismo in crisi bisogna reinventarsi!

Ecco, allora, che in molti hanno pensato a nuove politiche di pricing su misura e iniziative inedite, come la possibilità di utilizzare gli spazi degli hotel di lusso per lo smart working o addirittura per le sedute di laurea a distanza.

Il turismo in crisi colpisce anche lo shopping di lusso

Quando si parla di turismo e lusso ci si riferisce alle strutture ricettive di lusso, ma anche ad altre attività legate al flusso di turisti stranieri in Italia, primo fra tutti il turismo da shopping.

Ci sono numerosi brand di lusso che facevano affidamento sulle vendite legate al viaggio e al turismo. Secondo uno studio condotto da Bain & Company e riportato da Business Of Fashion, nel 2019 circa il 40% degli acquisti di beni di lusso sono stati effettuati da consumatori in viaggio.

Per “consumatori in viaggio” si intendono quei consumatori che effettuano acquisti in città straniere durante viaggi di lavoro o di piacere, oppure in negozi situati in stazioni e aeroporti. Sono i cosiddetti “shopping tourists” che ogni anno spendono miliardi e che in Italia avevano trovato il loro paradiso dello shopping: prezzi accessibili rispetto ai paesi di provenienza (soprattutto se si parla di beni di lusso), esperienze indimenticabili e un notevole contorno fatto di arte, bellezze paesaggistiche e specialità gastronomiche.

I brand di lusso, che fino al 2019 facevano affidamento sugli acquirenti in viaggio per raggiungere i loro obiettivi di vendita, adesso hanno deciso di puntare su una strategia differente, che mira a conquistare i clienti nel loro paese di origine. In Cina abbiamo già assistito ad un aumento esponenziale delle vendite, in parte legate al fenomeno del revenge shopping. Questo accade perché smettere di viaggiare non vuol dire smettere di acquistare, ma significa che il fulcro degli acquisti non saranno più le capitali del turismo da shopping come Milano, Roma, Parigi o Londra, e che d’ora in poi le strategie si concentreranno di più sui local shoppers. Queste nuove strategie troveranno supporto anche negli incentivi fiscali per i consumatori e i brand, consentendo ai grandi nomi del lusso di iniziare ad uniformare i prezzi a livello globale.

Le analisi condotte da Bain & Company prevedono un aumento notevole delle vendite di prodotti di lusso in Cina da qui a 5 anni: se nel 2019 esse rappresentavano l’11% delle vendite globali, nel 2025 la percentuale potrebbe aggirarsi intorno al 26%. Certo, è improbabile che le vendite in Cina riescano a compensare tutte le vendite generate dagli acquirenti in viaggio, ma i brand possono comunque rispondere alle limitazioni di viaggio investendo in social media localizzati, e-commerce e piattaforme di live streaming, che si apprestano a diventare uno dei principali canali di presentazione e vendita delle nuove collezioni.

Inoltre, anche un focus strategico sui consumatori locali al di fuori della Cina potrà essere parte delle nuove strategie di vendita. I brand potrebbero compensare le vendite perse nelle capitali dello shopping coinvolgendo maggiormente la gente del posto e facendo leva sulla tanto decantata omnicanalità, così da permettere all’online e all’offline di andare di pari passo. È importante ricordare, infatti, che nonostante le difficoltà che gli store fisici si trovano ad affrontare, un passaggio totale all’online è alquanto improbabile, soprattutto nel settore luxury. In questo settore, infatti, l’experience del negozio fisico gioca ancora un ruolo centrale e non potrà essere sostituita completamente dalle piattaforme di vendita online.