È possibile comunicare la propria autorevolezza attraverso la moda? La storia del power dressing ci insegna che anche gli abiti possono parlare
“Indossa un tailleur. Darai l’impressione di essere più preparata e autorevole“. Chi non ha mai ricevuto questo consiglio, magari prima di un esame, un colloquio o una riunione importante? Ecco, questo è un classico esempio di power dressing, un modo di vestire che consente alle donne di stabilire la loro autorità, soprattutto se si parla di ambienti professionali tradizionalmente dominati dagli uomini.
Si tratta di uno strumento comunicativo su cui le donne hanno sempre puntato al fine di trasmettere un’immagine di potere. Storicamente, infatti, la maggiore resistenza al mutamento dei ruoli femminili nella società ha fatto si che le donne individuassero nella moda uno strumento adatto a colmare il deficit di partecipazione alla vita sociale e alla gestione del potere.
I primi esempi risalgono agli anni ’70 e ’80, che sono stati il periodo per eccellenza della lotta per la parità di genere e rappresentano l’inizio di un’era in cui la donna chiede di emanciparsi, affermando la propria autorità. Con il passare del tempo, poi, il power dressing ha sensibilmente cambiato aspetto, anche se la sua finalità resta invariata.
Gli inizi negli anni ’70 e ’80
Gli anni ’70 e ’80 sono stati testimoni di importantissimi cambiamenti socioculturali: sono gli anni dell’emancipazione femminile che ha, in qualche modo, aperto la strada all’uguaglianza di genere. Proprio in questo periodo si assiste alla nascita di una nuova immagine della donna, autorevole, capace e autoritaria, con il power dressing che porta nei guardaroba femminili collezioni dallo stile manageriale ed elegante.
Per la prima volta le donne trovano il modo di comunicare la loro determinazione e importanza, e lo fanno (anche) attraverso un nuovo stile. Si diffondono, quindi, giacche oversize, spalline imbottite e blazer ispirati ai completi maschili.
Sono gli anni del successo dei completi di Giorgio Armani e delle fotografie di Helmut Newton, le cui modelle erano spesso ritratte mentre indossavano completi dalle fogge maschili firmati Yves Saint Laurent.
La prima icona
Un’icona indiscussa del power dressing è sicuramente Margaret Thatcher, che ha trasformato i suoi completi in un vero e proprio trend. La Lady di Ferro (prima donna ad essere nominata Primo Ministro e leader del partito conservatore inglese) ha inaugurato un modello di power dressing, destinato a influenzare generazioni di donne al potere: un tailleur rigoroso, spesso blu o azzurro (colore del partito conservatore inglese) ingentilito da camicie chiare e da una spilla o un filo di perle.
Simbolo assoluto di emancipazione femminile all’interno del mondo politico fatto di soli uomini, è stata tra le prime donne ad utilizzare un capo d’abbigliamento (in questo caso il tailleur) come strumento di marketing e comunicazione. Nota per le sue idee fortemente conservatrici, la celebre Iron Lady non ha mai rinunciato ad abiti che mettessero in risalto la sua (sempre severa) femminilità.
Il power dressing oggi
Negli anni ’90 la rivoluzione della moda a favore di look più casual ha influenzato anche il power dressing. Di conseguenza, quando si parla di power dressing oggi non c’è più un dress code rigido, ma è tutto legato al messaggio che si vuole trasmettere e al contesto professionale. Certo, la giacca resta uno dei pilastri di questo stile, ma si possono scegliere numerose varianti e accostarle (indifferentemente) a gonne o pantaloni, maglie o camicie…
Per avere un’idea di come il power dressing sia un potente mezzo di comunicazione, basterà dare un’occhiata alle donne che occupano ruoli di potere (politici o manageriali) nel mondo contemporaneo.
Si è parlato tanto delle first ladies degli Stati Uniti Michelle Obama e Melania Trump, spesso paragonando le loro scelte di stile. La prima ha sempre usato gli abiti per mandare messaggi colmi di significato, ed è diventata un’icona della sartorial diplomacy, omaggiando i propri ospiti con capi confezionati da loro connazionali. La moglie di Donald Trump, invece, ha sempre sfoggiato, o meglio ostentato, outfit lussuosi e ricercati, con risultati decisamente glamour ma molto controversi. Eppure, quando era chiamata a parlare in pubblico in qualità di first lady, Melania optava sempre per un power dressing più spinto, tanto che in molti hanno parlato di role playing (gioco di ruolo), per indicare questa sua tendenza a “vestirsi a tema” in base all’occasione, rendendo il suo utilizzo della moda poco credibile.
Restando negli USA, impossibile non citare la vicepresidente eletta Kamala Harris, il cui stile è stato più volte analizzato e commentato dagli esperti. Per il suo primo discorso alla nazione, ad esempio, ha scelto un tailleur giacca pantalone bianco: in molti hanno lodato la sua eleganza, il suo stile, ma quello che è fondamentale nell’outfit è il colore. Il bianco, infatti, oltre ad avere un significato di purezza e nuovo inizio, è il colore simbolo delle suffragette, che le donne dell’epoca usavano per individuarsi in occasione delle proteste in mezzo alla folla di completi scuri degli uomini, e per risaltare sulle immagini in bianco e nero. Insomma, con un semplice tailleur, la Harris ha gridato a gran voce il suo impegno per far ripartire l’America e ha dato speranza a tutte le donne che la stavano ascoltando.
Esiste anche un power dressing maschile?
Molti ritengono il power dressing un concetto ormai superato, che fa leva su una concezione ancora profondamente maschilista del lavoro. In effetti, negli ultimi anni si sono diffusi ideali che vogliono abbattere le differenze di genere anche nell’abbigliamento e che spronano le persone ad indossare ciò che desiderano e che li fa sentire a proprio agio. Certo, non è facile perché ogni ambiente (lavorativo e non solo) continua ad avere le proprie regole e il proprio dress code da rispettare.
Ad ogni modo è importante ricordare che, anche se storicamente non si è mai parlato di power dressing maschile, gli uomini sono sempre stati legati ad un concetto di moda molto rigido, che rispecchiasse il loro ruolo sociale e lavorativo. Abito formale, camicia e cravatta sono ancora i pilastri di questo codice, diventato un costume più che una moda. Non si tratta di dimostrare potere o autorevolezza in un mondo in cui non si sentono accolti (come invece avveniva per le donne), ma di adeguarsi alle convenzioni sociali per sentirsi a proprio agio.
Basti pensare ai broker di Wall Street che sono sempre vestiti in modo impeccabile, in quanto l’abito diventa un segnale di chi avrà successo nella vita e chi no, oppure ai politici, che indossano solo completi eleganti (magari con colori ispirati al proprio partito) mentre gli outfit informali sono riservati a occasioni non ufficiali.
Le uniche eccezioni a questo “power dressing maschile” sono rappresentate da personaggi come Steve Jobs o Mark Zuckerberg. Il primo era legatissimo ai suoi iconici dolcevita, mentre il secondo indossa spesso felpe o maglie girocollo. Anche questo è un cambiamento importante, perché indica un superamento dei canoni standard di abbigliamento.
Insomma, anche la moda può fare la differenza, lanciando un messaggio di forza e autorevolezza. E questa può essere un’arma molto importante da usare, anche per combattere il gender gap e avvicinarsi sempre più alla parità di genere. Anche se ci auguriamo che (magari in un futuro non troppo lontano) la forza delle persone non avrà più bisogno di supporti materiali per essere riconosciuta, ma sarà legata solo ed esclusivamente alla bravura e al carattere dei singoli individui.