Il microtargeting a scopo politico è uno strumento che presenta molti lati oscuri, e negli ultimi anni è stato al centro di scandali e dibattiti. Tra le proposte della Commissione e quelle del Garante Europeo si parla di limitarlo o addirittura vietarlo. Ecco perché sarà uno dei temi del nostro secolo

Partiamo dalle radici: cos’è il microtargeting? Si tratta di una forma di pubblicità online profilata che utilizza i dati personali (le ricerche online digitate, i dati di navigazione e in generale il comportamento online) per individuare gli interessi degli utenti e trarne vantaggio per prevedere e influenzare le sue azioni, come cliccare su un certo banner pubblicitario. Questo sistema rappresenta una grande utilità per gli inserzionisti, che possono lanciare i propri messaggi in modo molto più efficace ed efficiente, andando a “pescare” nel pubblico proprio chi può essere interessato ai loro prodotti e servizi. Un’esperienza che qualsiasi utente web sufficientemente attento avrà certamente notato nella propria navigazione, pur magari non interrogandosi sui complessi meccanismi che vi stanno dietro. Ma c’è dell’altro: come ben sintetizzato da agendadigitale.eu, gli inserzionisti potranno procedere a segmentare la propria clientela con precisione sulla base dei dati comportamentali degli utenti, con l’obiettivo di creare dei cluster omogenei di consumatori sulla base del loro comportamento e delle loro preferenze. Il microtargeting consente proprio di definire i cluster delle diverse tipologie di clienti attraverso i dati che vengono analizzati.

Anche le simpatie politiche sono un “prodotto”

Come è noto, l’utilizzo di questi strumenti sul piano politico-elettorale è ormai comunissimo, con casi già “vecchi” (ma non per questo risolti) come lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica. Per un approfondimento divulgativo sul tema possiamo rimandare, cum grano salis, a documentari come The Great Hack e The Social Dilemma, visibili su Netflix. Il nostro articolo si concentrerà sui collaterali pericoli politici del microtargeting, ma una premessa resta d’obbligo: quando si tratta di politica, non esiste un “bene” scientificamente determinato, e quasi sempre nelle scienze sociali i fenomeni sono caratterizzati da gradualità ed esternalità sia positive che negative. In sostanza: il microtargeting è uno strumento e come tale può avere anche utilizzi virtuosi nel senso di un ampliamento della partecipazione pubblica e della promozione di valori che possiamo soggettivamente ritenere benefici e costruttivi. Occorre però individuare con chiarezza i limiti giuridici e comprendere in pieno il fenomeno, prendendo in considerazione anche i suoi risvolti più distruttivi.

I buoni propositi della Commissione europea

Verso la fine del 2021 è arrivata dalla Commissione una proposta volta a mettere limiti al microtargeting politico delle piattaforme digitali,  basati su una lista di categorie sensibili, come l’etnia, le convinzioni politiche, l’orientamento sessuale e lo stato di salute. Protagonisti del testo del disegno di legge, sono nuovi requisiti generali per tutte le società che gestiscono piattaforme di social media, al fine di aumentare la trasparenza su ogni annuncio a sfondo politico che viene pubblicato, come:

  • Quanto ampio è il bacino di utenza che ha visualizzati l’annuncio;
  • Ancora più importante, quali criteri sono stati utilizzati per determinare i destinatari dell’annuncio, incluso l’eventuale utilizzo di dati di terze parti.

Per le aziende che non si conformeranno ai nuovi requisiti del disegno di legge, sono previste multe più salate rispetto a quelle previste dal GDPR, fino al 5% del fatturato globale annuo. Tuttavia, si tratta di un percorso ancora complesso e articolato. Per divenire realtà, il progetto di legge dovrà essere approvato sia dal Consiglio Europeo che dal Parlamento Europeo; un processo che richiederà ancora mesi, o più probabilmente anni, di trattative ed emendamenti, sebbene l’obiettivo perseguito dai legislatori sia quello di strutturare, già nel 2022, un quadro normativo nuovo e coerente con le peculiarità del mercato digitale.

“Si può fare di più”, sostiene il Garante Europeo

Tuttavia, i commenti di Wojciech Wiewiórowski, (nome per noi impronunciabile ma con idee molto chiare) Garante Europeo per la Protezione dei Dati, pur apprezzando gli sforzi della Commissione, ha lasciato intendere che vorrebbe di più, arrivando a immaginare un pieno divieto del microtargeting politico.  “La comunicazione politica è essenziale per i cittadini, i partiti politici e i candidati per partecipare pienamente alla vita democratica. Per preservare la nostra democrazia, abbiamo anche bisogno di regole forti per combattere la disinformazione, la manipolazione degli elettori e le interferenze con le nostre elezioni. Dobbiamo fare di più se vogliamo affrontare i numerosi rischi che circondano l’uso di tecniche di mira e amplificazione per scopi politici”. La citazione è lunga, ma merita di essere riportata qui di seguito.

La pubblicità mirata può essere utilizzata per influenzare indebitamente gli individui quando si tratta di campagne politiche e processi elettorali democratici. Mentre la campagna politica ‘offline tradizionale’ tende a influenzare il comportamento degli elettori tramite messaggi generalmente conoscibili e controllabili, la pubblicità mirata consente di indirizzare sia i singoli elettori che gruppi di elettori con messaggi su misura, specificamente pensati per esigenze particolari, interessi e valori del target di riferimento.

Il GEPD concorda con la conclusione della Commissione secondo cui tali pratiche hanno effetti pregiudizievoli specifici sui diritti e sulle libertà fondamentali dei cittadini, compresa la loro libertà di opinione e di informazione, di prendere decisioni politiche ed esercitare i loro diritti di voto. Inoltre, è convinto che presentino rischi crescenti non solo per i diritti fondamentali delle persone, ma anche per la società nel suo insieme“.

In sostanza, per il Garante Europeo la proposta della Commissione non offrirebbe alcuna protezione ulteriore rispetto all’esistente disciplina europea sulla protezione dei dati. Il che può spingere a considerazioni ancora più imbarazzanti: è improbabile che il microtargeting politico che fa uso di dati personali così sensibili abbia una base giuridica valida ai sensi della legge UE sulla protezione dei dati. Ed è lo stesso Wiewiórowski a sottolineare che le attuali pratiche di consenso ai cookie non sono certo note come modelli di rigorosa applicazione.

Il Big Tech sta già cambiando

Come scritto all’inizio dell’articolo, la discussione non nasce certo ieri ed è bene aggiungere per completezza che i giganti del Big Tech, almeno in parte colpiti nella reputazione dai profondi dibattiti sui rischi della pubblicità politica online, hanno cambiato approccio verso questo strumento. Senza neanche parlare della chiusura dei profili social di Donald Trump legata ai fatti di Capitol Hill, della sua enorme rilevanza politica e dei dibattiti molto complessi che ha scatenato.

Ad ogni buon conto, nel periodo precedente alle ultime elezioni politiche negli USA, le Big Tech hanno adottato differenti approcci alla questione: Google ha vietato agli inserzionisti di targettizzare i contenuti politici sulla base degli interessi deducibili dai dati di navigazione degli utenti e dalle ricerche svolte dagli stessi; Twitter ha sospeso l’accettazione della maggior parte degli annunci politici; Facebook ha sospeso gli annunci politici negli Stati Uniti, fino alle elezioni, e ha recentemente dichiarato, nel corso di questo mese, che non consentirà più la targettizzazione degli annunci politici sulla base di dati appartenenti a categorie particolari, come le opinioni politiche e l’etnia.

La montagna di dibattito da una parte e dall’altra dell’oceano partorirà un topolino? Di certo siamo di fronte a uno dei più grandi temi del nostro secolo, e la discussione in materia avrà portata altrettanto storica.