Milano, 2012 – Aule universitarie, libri di psicologia e lunghe notti insonni. È qui che inizia il viaggio di Marco Crepaldi, al tempo un giovane studente della Bicocca, con una routine capovolta dal troppo studio e dalle serie TV. Appassionato di psicologia sociale e di tutti i fenomeni che riguardano il comportamento delle persone, Crepaldi porta avanti i suoi studi alla ricerca di una specializzazione. In quel periodo qualcosa accade: l’incontro casuale con un anime giapponese che parla di isolamento e paura del giudizio sociale. Il protagonista, Sato, uno studente trasferitosi a Tokyo, scivola in una spirale di isolamento, incapace di affrontare gli sguardi e le aspettative degli altri. Crepaldi rimane colpito: chissà quante persone si trovano in questa situazione. In lui si accende l’interesse per un fenomeno ancora poco conosciuto in Italia: gli “hikikomori”, termine giapponese che significa “isolarsi”.
Negli anni successivi, Crepaldi studia in che modo avviene quello che si può definire un “ritiro volontario” dalla società, pinto dal desiderio di comprendere e di trovare risposte. Chiede la tesi alla docente di Psicologia sociale, con un focus specifico su questo fenomeno. La professoressa, pur non conoscendo questa realtà, decide di dargli fiducia. La sua tesi di laurea diventa la prima tappa di un cammino che avrebbe portato alla nascita di “Hikikomori Italia”, una rete di sostegno per chi vive l’isolamento e per le famiglie che Marco Crepaldi crea nel cuore della notte di un giorno del lontano 2013. “Volevo capire se anche in Italia ci fossero ragazzi come Sato” racconta, e la risposta arriva presto, sotto forma di messaggi da giovani che vivono in completo isolamento.
Chi sono gli hikikomori?
Spesso si tratta di adolescenti o giovani adulti, tra i 15 e i 25 anni, ragazzi che scelgono di tagliare i ponti con il mondo esterno, rifugiandosi tra le mura domestiche. Abbandonano la scuola, il lavoro, le amicizie, incapaci di sopportare la pressione sociale, l’ansia da prestazione, il peso delle aspettative. Sono ragazzi sensibili e introversi, in difficoltà nei contesti sociali, spesso vittime di bullismo, e progressivamente incapaci di affrontare gli altri. La società, percepita come opprimente e giudicante, diventa per loro un nemico.
Ma isolarsi non è una soluzione a lungo termine. Se inizialmente l’isolamento allevia la pressione sociale, col tempo si trasforma in una trappola che alimenta la solitudine e riduce la capacità di reagire. L’hikikomori raramente è una fase transitoria: il fenomeno tende a cronicizzarsi, con casi, soprattutto in Giappone ma sempre più anche in Italia, di persone rimaste isolate per decenni.
La nascita di una rete di aiuto
Di fronte alla crescente domanda di sostegno, soprattutto da parte di genitori disperati, Marco Crepaldi decide di creare spazi online per facilitare la comunicazione tra chi vive in isolamento e le famiglie. Nascono chat e gruppi, dove i ragazzi hikikomori possono interagire tra loro senza il timore del giudizio, trovando ascolto e comprensione in altri che condividono la loro esperienza. Parallelamente, i genitori trovano un luogo dove confrontarsi e ricevere supporto.
Da questa comunità nasce, nel tempo, “Hikikomori Italia”, un’associazione che cerca di sensibilizzare il pubblico su un fenomeno ancora poco noto, ma diffuso. Centinaia di ragazzi trovano qui un canale per esprimersi e uscire dal loro isolamento, mentre gli esperti collaborano per fornire consulenze e strumenti di sostegno.
C’è speranza: Davide e la passione per il disegno
Il fenomeno hikikomori è complesso e radicato, ma non privo di spiragli positivi. Come quello di Davide, un giovane che, a soli 12 anni, si trasferisce in una nuova città e fatica a inserirsi nella nuova realtà. Abbandona la scuola e si ritira a casa, vivendo anni di totale isolamento. Quando si unisce a una delle chat di supporto, condivide una passione che lo accompagna da sempre: il disegno. Nonostante l’apatia, Davide continua a disegnare.
L’arte si rivela per lui un ponte verso il mondo esterno: un giornalista nota il suo talento e lo invita a una mostra a Milano. Con sorpresa, Davide accetta. A Milano, per la prima volta dopo anni, si trova tra altre persone, circondato da apprezzamenti per i suoi lavori. È ancora a disagio, ma scopre la felicità di stare con gli altri, e questo passo rappresenta un inizio verso una vita diversa. Quella degli hikikomori è una crisi personale, ma anche una sfida collettiva. È un campanello d’allarme di una società percepita da molti giovani come fredda e competitiva, che impone standard elevati e a cui tanti non riescono ad adeguarsi. Mentre alcuni riescono a emergere, altri si trovano schiacciati sotto il peso di aspettative irraggiungibili e scelgono l’isolamento come unica via. Affrontare il fenomeno hikikomori significa anche interrogarsi sui valori e sugli equilibri sociali. Significa riconoscere che una società più inclusiva e meno orientata alla competizione potrebbe aiutare questi giovani a ritrovare la propria strada e a vivere una vita piena.
Davide e altri come lui dimostrano che con il giusto supporto, una nuova prospettiva e uno scopo possono fare la differenza, offrendo speranza anche dove l’isolamento sembra l’unica soluzione.
Hikikomori in numeri