Se il Metaverso non sarà solo marketing, l’AI ha opportunità e rischi. Gli esperti in questi campi del Politecnico di Torino ci spiegano il presente e il futuro, le luci e le ombre, dei nuovi mondi digitali.

Negli ultimi tempi il mondo digitale ha generato fenomeni apparentemente resistenti come il volo di una meteora. Il tamtam sul Metaverso, il boom degli NFT, il successo iniziale delle Criptovalute… Ma tutti questi prodotti virtuali che fine hanno fatto? A che punto sono?

Il Metaverso, annunciato in pompa magna da Mark Zuckerberg come ulteriore evoluzione del gruppo Meta (Instagram, Facebook, WhatsApp), al principio suonava da un lato come qualcosa di inimmaginabile e rivoluzionario e dall’altro come una sorta di rielaborazione del modello di Second Life. Poi si è mostrato quasi subito come una nuova possibile piattaforma su cui alimentare iniziative di marketing, pubblicità e introiti commerciali.

Ora, nel pieno dell’esplosione dell’Intelligenza Artificiale, sono stati diffusi dati (fonte dappGambl) che dimostrano come nessuno voglia gli NFT, i non-fungible token: il 79% di queste opere digitali non riproducibili risulta invenduto e tra l’altro il loro mercato, per il quale si parla già di collasso, ha prodotto emissioni di carbonio pari a 2.048 case.

Dopo l’analisi del Digital Services Act, cerchiamo ora di illuminare tutti questi aspetti con tre esperti, professori e ricercatori del Dipartimento di Automatica e Informatica del Politecnico di Torino, intervistati nei loro campi di specializzazione: Alberto Cannavò, Valentina Gatteschi e Lia Morra. Ecco uno spoiler:

  • il Metaverso non esiste ancora ma forse non sarà così male
  • gli NFT hanno una buona idea tecnologica alla base ma un’economia debole
  • le criptovalute resisteranno
  • e l’intelligenza artificiale presenta sia opportunità sia grossi rischi.

Dott. Cannavò, negli ultimi tempi dal mondo digitale sono emerse novità che a tratti possono sembrare bolle (mediatiche) più che sostanza. Partiamo dal Metaverso: che fine ha fatto? È già qualcosa di concreto o si è un po’ arenato?

Quando si parla del Metaverso, molti affermano di aver sentito parlare di questa tecnologia già da diversi anni, facendo notare che non è stato aggiunto molto rispetto a strumenti esistenti come “Second Life”, il mondo virtuale molto popolare nei primi anni 2000. Ma, cos’è davvero il Metaverso e che prospettive ha? Per prima cosa vale la pena notare che il termine Metaverso non è un’invenzione di Mark Zuckerberg, che nell’ottobre del 2021 ha annunciato l’avvio dei progetti su Metaverso rinominando la sua azienda (Facebook) in Meta Inc. Il termine, infatti, è stato usato per la prima volta all’interno del romanzo di Neil Stevenson intitolato Snow Crash, pubblicato nel 1992.

Già nella sua prima accezione, il Metaverso faceva riferimento all’interazione tra reale e virtuale, che poteva avvenire attraverso attività sociali a cavallo tra i due mondi. Nel corso degli anni, molti lavori scientifici o aziende del settore hanno cercato di descrivere meglio cosa fosse il Metaverso, per esempio, paragonandolo ad una nuova fase di Internet. Analizzando la parola Metaverso, si scopre che esso è costituito dal temine Meta, che si riferisce a ciò che va oltre la realtà, e universo.

Quindi come potremmo definirlo?

Come un mondo virtuale e tridimensionale in cui le rappresentazioni digitali degli utenti del Metaverso – detti avatar – interagiscono, impegnandosi in attività sociali, culturali, economiche e politiche. Caratteristica fondamentale del Metaverso è la coesistenza di reale e virtuale, realizzata sfruttando tecnologie quali la Realtà Virtuale o la Realtà Aumentata. Indossando un visore, gli utenti hanno la possibilità di immergersi in una ricostruzione/simulazione digitale ed interagire con altri avatar che possono essere anch’essi reali – cioè, manovrati a distanza da persone reali – oppure controllati dall’intelligenza artificiale.

Si è parlato anche di attività economiche e politiche all’interno del Metaverso.

Infatti, lo scambio di prodotti e servizi viene supportato tramite pagamenti reali e/o criptovalute. Questa caratteristica apre il Metaverso alle tecnologie come la Blockchain e i Non-Fungible Token (NFT). Sintetizzando, quindi, il Metaverso ingloba al suo interno diverse tecnologie regolate da standard tecnici e protocolli che dovrebbero garantirne l’interoperabilità. Su questi aspetti, però, si sta ancora lavorando ed un esempio concreto degli sforzi sostenuti dalla comunità internazionale per promuovere la standardizzazione è stata la creazione del Metaverse Standards Forum: un’organizzazione che ad oggi include più di 2000 partner a livello mondiale, come Meta, Adobe, Microsoft, Nvidia, HTC, Sony Interactive Entertainment, World Wide Web Consortium (W3C), Standford University

Quindi attualmente il Metaverso esiste oppure no?

Ad oggi si può affermare che il Metaverso non esiste ancora, almeno non nella sua forma universale che garantisce l’interoperabilità e la persistenza dei dati. Esistono sicuramente delle versioni depotenziate, come Hyperverse, Decentraland, Sandbox, Stageverse o la piattaforma sviluppata da Roblox, che non dialogano tra loro ma fanno già intravedere i possibili benefici del Metaverso.

Ad esempio a marzo 2023 si è tenuta la Metaverse Fashion Week 2023, un evento ospitato in Decentraland che ha visto la partecipazione di importanti marchi della moda. L’azienda Microsoft ha invece rilasciato Mesh, uno strumento che consente agli utenti di abbandonare le video-conferenze a favore di un ambiente immersivo. La piattaforma Stageverse è stata lanciata ospitando un concerto dei Muse. Roblox, Epic Game e Tik Tok sono solo alcune delle aziende che stanno lavorando per “aggiornare” i loro servizi e renderli così compatibili con il Metaverso.

Il Metaverso prometteva di aprire nuove opportunità per i professionisti, soprattutto quelli capaci di sviluppare e realizzare ambienti di realtà virtuale ed aumentata. Come sta andando su questo piano? C’è più lavoro?

È balzata all’attenzione di tutti la notizia per cui Meta Inc. ha avviato ad ottobre 2021 una nuova campagna finalizzata all’assunzione di 10.000 persone in Europa per lo sviluppo delle tecnologie legate al Metaverso. A mio avviso, essendo il Metaverso un “contenitore” di diverse tecnologie come realtà virtuale, aumentata e blockchain, servizi come security e networking, e casi d’uso come entertainment, gaming, design, formazione ed istruzione, sicuramente il suo sviluppo non solo aprirebbe nuove opportunità lavorative ma consentirebbe di reinvestire in questo settore competenze caratteristiche di altri ambiti.

La diffusione in larga scala del Metaverso, oltre agli sviluppatori software necessari per la creazione, l’arricchimento e la manutenzione dei mondi virtuali, richiederebbe anche figure professionali come quella del designer, dell’esperto di tecnologia e dei ricercatori ad esempio per realizzare avatar ultra-realistici, abilitare interazioni naturali in ambienti virtuali, identificare l’hardware più adatto in funzione delle esigenze, etc.

Un altro esempio è collegato alle necessità imposte dall’integrazione dei servizi di un’azienda nel Metaverso. Per questo scopo, sarebbero infatti necessarie figure esperte nella gestione delle reti aziendali e delle infrastrutture di rete. La sicurezza informatica non è un aspetto da trascurare e specialisti nell’ambito cybersecurity garantirebbero il giusto livello di sicurezza per preservare i dati degli utenti, la privacy, etc.

Prof.ssa Gatteschi, nessuno li vuole e inquinano pure: gli NFT sono già “finiti”? Erano solo una moda?

Farei una distinzione tra il valore che viene assegnato agli NFT dalle persone che li acquistano e l’effettiva utilità di questa tecnologia, perché è vero che c’è stato un momento di bolla. Tra l’altro alcune compravendite erano create apposta per far aumentare il prezzo dei singoli NFT o di alcune collezioni. Quindi, ragionevolmente, c’è stata una bolla: le persone si sono buttate a investire negli NFT senza riflettere sul prezzo che avrebbero avuto in futuro.

Il discorso è anche legato al prezzo dell’Eter; sono influenzati dal prezzo dei principali token, Ethereum e Bitcoin. Riguardo all’effettiva utilità della tecnologia, io non mi sento di dire che siano finiti, anzi, sono oggetto di esplorazione, nel senso che è stato proposto di utilizzarli nell’arte per certificare la proprietà delle opere e ci sono molte attività di ricerca che li stanno analizzando in diversi ambiti.

Ma qual è la differenza tra token fungibile e token non fungibile?

I primi sono come gli euro che abbiamo nei portafogli: che io paghi 1€ con la monetina A o con la monetina B non cambia, tanto per me sono indifferenti. Nei token non fungibili, invece, se mi danno un altro token mi arrabbio: volevo proprio quel token specifico. Ci sono tante attività di ricerca che puntano a capire se in effetti possono essere utilizzati, ad esempio, per certificare beni di lusso. E quindi io posso collegare un NFT al bene di lusso che voglio permettere che possa essere trasferito e poi, essendo questo una replica, posso salvare tutti i dati di quel bene collegato: non vedrò solo la storia pregressa, posso anche memorizzare dei dati di produzione di quel bene.

Si tratta di una tecnologia valida?

Da questo punto di vista secondo me assolutamente sì, bisogna applicarla con raziocinio perché adesso i costi sono ancora abbastanza alti per il trasferimento di NFT a seconda dei periodi e più che altro presuppongono che la persona che li acquista abbia conoscenze tecniche. Però sono ciò che permette alle persone, ad esempio, di vendere facilmente la proprietà di un bene. Ovviamente qui c’è un altro problema: se io collego un NFT a un’automobile, devo vendere l’NFT ma automaticamente anche l’auto, cioè dare fisicamente le chiavi al compratore.

Però nulla vieta al NFT di memorizzare tutta la storia pregressa del veicolo e quindi con un token, oltre a salvare su blockchain le informazioni di quel mezzo in particolare, do alle persone la capacità di trasferire in maniera semplice il token ad altre persone, di fissare un prezzo e far fare eventualmente aste. Quindi direi che non sono finiti se si guarda all’aspetto tecnologico. Se si guarda all’aspetto economico, mi rifarei alle varie statistiche che sono state pubblicate, inclusa quella di dappGambl.

La dimensione digitale ha dato più volte l’impressione di poter incidere con forza anche nel mondo reale. C’è stato un momento in cui le criptovalute hanno persino “minacciato” di rivoluzionare l’economia internazionale.

Un articolo non scientifico del 2021 diceva che la capitalizzazione di mercato di Bitcoin aveva temporaneamente superato quella di Facebook. Aveva raggiunto i 927 miliardi di dollari, mentre Facebook era scesa a 917 per un crollo legato a problemi tecnici. Credo che le persone abbiano una percezione diversa rispetto a quanto è grande l’universo di Bitcoin. A settembre la sua capitalizzazione era sui 513 miliardi di dollari, mentre quella di un gigante come Apple è 2,72000 miliardi di dollari.

Quindi gli entusiasti di tecnologia blockchain ci credono molto, perché i presupposti sono ottimi e gli aspetti tecnologici sono fantastici. Però non dimentichiamo che ci sono aziende con una capitalizzazione molto più grande rispetto a quella delle criptovalute. Anche sommando la capitalizzazione di mercato delle prime 10 criptovalute, non si raggiunge quella di Apple. In questo articolo del 2021 al primo posto della classifica c’era sempre l’oro, con una capitalizzazione di mercato di 11 trilioni di dollari, arrotondando.

Quindi la “teoria cripto” regge?

Senz’altro l’idea alla base delle criptovalute è geniale ed innovativa: sulla carta può rivoluzionare l’economia internazionale. È la persona che diventa proprietaria dei suoi token, quindi dei Bitcoin che ha nel suo Wallet, nel suo portafoglio. Non delega più qualcun altro per la gestione di questo valore monetario, però bisogna vedere poi come reagisce l’economia internazionale. I token ma anche le azioni generalmente hanno andamenti ciclici, i cosiddetti momenti di mercato toro e orso. Oltre a questo c’è la minaccia per le criptovalute delle CDBC, quindi degli euro digitali. L’approccio è sempre usare la blockchain ma farlo a livello centralizzato o comunque gestito da banche.

La differenza qui è tra token, volatili, e Stable Coin, token collegati a un valore fisico – sono le valute Fiat, gestite dalle banche centrali -. Quindi ci sarà il passaggio all’euro su blockchain. Questo per certi aspetti potrà mettere in secondo piano Bitcoin, però chi appoggia Bitcoin lo fa per avere il controllo sui propri token. Lo fa appunto perché è anche esperto della tecnologia. Insomma, lo fa con una certa filosofia. Quindi probabilmente, a tendere, Bitcoin diventerà un bene rifugio come l’oro. Non capitalizzerà come l’oro ma sarà utilizzato sempre solo da una ristretta cerchia di persone, esperti di tecnologia.

Qual è lo stato di salute delle criptovalute?

Io direi che la tecnologia comunque è sempre ottima. Ci sono tanti progetti che sono stati proposti nel tempo e che poi sono saltati o naufragati. Se uno volesse investire oggi forse avrebbe senso farlo sulle prime 5-10 cripto. Grossomodo, salvo problemi e bachi o attacchi di grande entità, non dovrebbero soffrire ed essere così tanto volatili. Dovrebbero nel tempo continuare a crescere, anche senza gli Spike che ci sono stati negli scorsi anni. Quindi io direi che la tecnologia alla base non è cambiata.

Quello che è cambiato è il valore che le persone hanno dato. Poi c’è da considerare che l’investitore cripto è un po’ estremista per certi aspetti. Invece i grossi investitori, che magari avevano investito anche in Bitcoin, lo fanno nel momento giusto. Se vedono che adesso sta tirando un altro settore come l’AI spostano i loro soldi per guadagnare nei settori più profittevoli al momento. Probabilmente in futuro, quando ci saranno meno settori profittevoli o comunque l’AI sarà meno interessante, dei soldi torneranno su Bitcoin.

Dr.ssa Lia Morra, abbiamo analizzato il Metaverso, gli NFT e le Cripto. Ma dietro a tutti i discorsi sull’Intelligenza Artificiale c’è sostanza?

Il termine intelligenza artificiale denota una classe di tecnologie molto ampia. Abbiamo tecnologie come la visione artificiale, che è una tecnologia ormai matura. D’altro canto, abbiamo fatto grandissimi progressi nella generazione di immagini, ma anche di testo, con tecnologie come i Large Language Model – come ChatGPT -. I progressi fatti sono moltissimi e ci troviamo di fronte ad una tecnologia che può trovare applicazioni reali.

Esiste sicuramente una spinta mediatica e speculativa ad esagerare le capacità di alcuni tipi di elementi di intelligenza artificiale, soprattutto legate alle tecnologie dei LLM, ritenendole ormai vicine all’intelligenza umana. Questa opinione non è condivisa da una larga parte della comunità scientifica ma il dibattito è chiaramente influenzato dagli enormi investimenti che sono stati fatti in questo tipo di tecnologia.

Dobbiamo temerla o abbracciarla?

Come per tutte le tecnologie trasformative, ci sono grandi opportunità legate all’intelligenza artificiale e in particolare alle sue capacità di automatizzare compiti difficili, ripetitivi o pericolosi, di supportare l’analisi di big data e di aumentare le capacità e la creatività umana. Al tempo stesso, i rischi ci sono e non vanno ignorati e in questo senso sicuramente l’Europa con l’Ai Act ha una posizione trainante. I rischi sono molteplici.

È una tecnologia che può essere utilizzata per scopi malevoli – penso ad esempio alla generazione di fake news e alla misinformazione -; come mitigare l’impatto sociale di queste tecnologie e il potenziale impatto negativo sull’occupazione; l’enorme impatto ambientale delle tecnologie digitali e dell’AI in particolare; la concentrazione del potere economico in pochi grandi gruppi aziendali. La sfida è trovare un bilanciamento tra cogliere le opportunità – e quindi mantenere la competitività europea – evitando che il costo di questa tecnologia ricada in maniera iniqua sulla società.

Dott. Cannavò, come sarà il web di domani? Sarà attento solo ai profitti o anche ai contenuti?

Personalmente ritengo che, in generale, i profitti ricoprano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle tecnologie. Il Metaverso non sarà da meno, considerando anche il fatto che diverse aziende hanno già investito molto su questa tema. Da ricercatore ho notato un interesse sempre più crescente manifestato dalla comunità di ricerca in questo ambito. Il numero di conferenze internazionali e riviste scientifiche che trattano questa tematica è salito rapidamente negli ultimi anni. Ed ancora, analizzando i dati riportati da Scopus, una delle banche dati più riconosciute a livello mondiale in ambito accademico, si nota che dopo essere stato portato alla ribalta con l’annuncio di Zuckerberg – ottobre 2021 – il numero di articoli scientifici che hanno come tema il Metaverso è aumentato vertiginosamente.

I lavori scientifici indicizzati da Scopus riguardano non solo l’ambito Computer Science, come ci si aspetterebbe, ma anche l’ambito medico, l’addestramento, l’insegnamento delle materie scientifiche, l’ambito culturale, etc. Questo sottolinea uno sviluppo del Metaverso attento non solo ai profitti, ma anche ai contenuti. Il Metaverso non è soltanto, e non sarà, qualcosa dove acquistare e vendere prodotti commerciali, ma un ambiente in cui invece poter fare esperienze formative, incontrare virtualmente esperti, insegnati e colleghi di lavoro, riscoprire il patrimonio culturale…