Gli Xenobot sono i primi robot viventi in grado di riprodursi. Hanno una forma a sfera e di primo acchito ricordano dei minuscoli Pac-Man poiché muovendosi inglobano altre cellule. Ma a cosa servono e quale sarà la loro funzione in futuro? A detta degli scienziati che hanno firmato la ricerca, potrebbero dare un prezioso aiuto sia nel campo della medicina che nella lotta contro il cambiamento climatico
Quel futuro distopico di cui si sente parlare costantemente al cinema così come nella letteratura potrebbe non essere poi così lontano. La scienza ha individuato una nuova capacità degli Xenobot: i primi robot viventi sono in grado di riprodursi. Ma, prima di inoltrarci in questo tortuoso cammino verso l’avanguardia allo stato puro, è giusto fare un passo indietro. In primis, spieghiamo cosa sono gli Xenobot, dopodiché passeremo ad analizzare la loro capacità di autoriprodursi e quali sono le prospettive per il futuro.
Cosa sono gli Xenobot
Per spiegare cosa sono gli Xenobot dobbiamo tornare indietro di circa un anno e interpellare Joshua Bongard, un esperto di robotica che lavora presso l’Università del Vermont, Stati Uniti, e che all’epoca ha dato vita a delle creature robotiche realizzate con cellule viventi. L’esperto ha spiegato di aver utilizzato in questo caso delle cellule staminali reperite da rane in fase embrionale. Non a caso, il nome Xenobot deriva dallo Xenopus laevis, una specie di rana acquatica africana. Lo Xenobot è a tutti gli effetti un organismo, seppur semi-sintetico poiché composto da diversi tessuti biologici.
Questo lo rende una sorta di Frankenstein? In parte, sì. Le cellule sono state aggregate in sfere di pochissimi millimetri grazie al supporto dell’intelligenza artificiale. Ma la vera sorpresa sta nel fatto che questi organismi hanno imparato a riprodursi. Sono i primi robot viventi ad aver raggiunto questo risultato e anche in poco tempo. Ma come hanno fatto? Gli scienziati hanno utilizzato un algoritmo di intelligenza artificiale e, tramite le sue indicazioni, gli Xenobot hanno raccolto le cellule staminali in gruppi. Questi gruppi, a loro volta, sono diventati altri Xenobot.
Le origini degli Xenobot: lo studio e il successo degli scienziati
A rendere possibile tutto questo sono stati Sam Kriegman, Douglas Blackiston, Michael Levin e Josh Bongard. Questi quattro scienziati provengono da tre università diverse: Harvard, Vermont e Tuft. I quattro esperti hanno studiato a lungo sistemi che potessero auto-replicarsi e hanno condiviso il risultato del loro duro lavoro attraverso il Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas). Qui è possibile constatare come le cellule si muovono per arrivare a riprodursi. Una scoperta che pare avere un tocco fantascientifico, inseguito dalle menti più brillanti della Terra e diventato infine realtà. Per comprendere al meglio la spiegazione di come questo processo sia effettivamente possibile vi basterà immaginare gli Xenobot come dei piccoli Pac-Man, protagonisti dell’iconico videogame anni ’80.
Questi organismi viventi per replicarsi seguono il suo stesso esempio: gli Xenobot sono organismi pluricellulari piccolissimi, della dimensione di pochi millimetri, delle piccole sfere che si spostano e, al loro passaggio – esattamente come Pac-Man – ingurgitano le altre cellule che trovano sul proprio cammino e si auto replicano. Si tratta di una scoperta inedita, a detta di Sam Kriegman, secondo il quale finora nessuna forma animale o vegetale si era mai riprodotta in questo modo. Gli Xenobot hanno utilizzato la replicazione cinetica, un processo che si verifica a livello molecolare.
A cosa servono?
Ora che gli scienziati hanno creato un robot in grado di autoriprodursi, qual è il passaggio successivo? In molti si sono chiesti: a cosa servono, esattamente, gli Xenobot? A detta degli scienziati, questa combinazione di biologia molecolare ed intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi un’importante risorsa sia per quanto riguarda il corpo dell’essere umano che per quanto riguarda l’ambiente. Ad esempio, i ricercatori sono convinti che gli Xenobot siano utili per la raccolta di microplastiche negli oceani. Ciò aiuterebbe sicuramente a contrastare i cambiamenti climatici.
Un altro aspetto interessante che vede quindi gli Xenobot scendere in campo in modo più diretto riguarda la scienza ed in particolare la medicina. E quale momento migliore di questo, considerando la pandemia in corso? Gli Xenobot possono essere utilizzati per studiare e conoscere a fondo anche come si replica un virus. Di conseguenza potrebbe essere utile anche per la fase di produzione di vaccini. Un altro utilizzo li vedrebbe impegnati anche nella riparazione di circuiti elettrici in ambienti ostili dove l’uomo riscontra maggiore difficoltà.
Cosa aspettarci dal futuro?
Joshua Bongard sostiene che l’utilizzo degli Xenobot ad oggi aiuterebbe a rendere alcuni processi più rapidi. Ad esempio, se si potessero utilizzare questi organismi per sviluppare nuove tecnologie, gli scienziati arriverebbero alla soluzione in tempi più rapidi rispetto a quelli attuali. Guardando al futuro, gli scienziati sono convinti che questa scoperta tornerà utile. Gli Xenobot hanno bisogno di essere studiati e in seguito utilizzati a nostro vantaggio.
Come anticipato, potrebbero essere molto utili per creare macchine viventi al fine di rimuovere le microplastiche dagli oceani, oppure potrebbero essere impiegati nella medicina rigenerativa o persino per ripristinare tessuti danneggiati. Si tratta di obiettivi futuri che lasciano aperte diverse questioni etiche che dovranno essere affrontate; ad oggi, però, i ricercatori garantiscono che il loro obiettivo fosse solo comprendere come funziona la riproduzione tra queste “macchine viventi”. Uno studio interessante che spinge a porsi delle domande su quale sarà l’utilizzo futuro che faremo delle macchine e anche quale sarà il loro apporto per la salvezza del pianeta. Tuttavia, la risposta potrebbe richiedere ancora tanti anni di ricerca.
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