Un pezzo di Pnrr si fonda sulla realizzazione di asili nido. Non un caso se si pensa come la crescita del Pil sia associata a una maggiore occupazione femminile. “Abbiamo la soluzione a portata di mano e non ce ne rendiamo conto”, il commento di Azzurra Rinaldi, docente Unitelma. Più donne con un impiego, sollevate dal lavoro di cura, porterebbero vantaggi all’intera economia.
L’occupazione femminile, agevolata dagli asili nido, significa punti di Pil. Nello specifico, arrivare al sessanta per cento di donne occupate si tradurrebbe in una crescita di sette punti del prodotto interno lordo. A spiegarlo a Dealogando è Azzurra Rinaldi, direttrice della School of Gender Economics di Unitelma Sapienza. Per Rinaldi, economista e femminista, “La ricetta per far crescere l’economia è a portata di mano e non lo capiamo” sottolinea. Ma per liberare la forza lavoro delle donne e dare una spinta alla crescita del Paese servono gli asili nido. Uno dei pilastri su cui – non a caso – si basa anche il Pnrr, che prevede 4,6 miliardi per la costruzione o il rimodernamento di oltre 2mila nidi e materne.
Gli asili nido del Pnrr un aiuto per tutti
Il problema continua a essere culturale, in un paese che registra tra i più bassi tassi di lavoro femminile (circa il cinquanta per cento, contro una media Ue del 62). Ce lo dice per esempio il fatto che “gli asili nido sono percepiti come un aiuto alle donne” evidenzia Rinaldi. Quando in realtà “sono un aiuto per i bambini e le famiglie, che non sono composte solo da donne”. Eppure il lavoro di cura ricade quasi tutto su di loro, “secondo alcuni studi fino al 75 per cento”. E le ingabbia dentro le mura domestiche, impedendo loro di occuparsi anche di altro. In particolare “c’è una ricerca condotta dalla Commissione europea di recente che indaga sui valori comuni europei, e che dice che le donne non possono permettersi di cercarsi un lavoro in quanto oberate dal lavoro di cura”.
Le spese per il nido tutte a carico delle donne
Non solo, ma c’è anche un tema di costi connesso a quello degli asili nido. “La cultura del patriarcato” prosegue Rinaldi, “fa sì che le donne pensino di doversi occupare anche delle spese legate a questo tipo di servizi”. Di lì il passaggio cruciale per cui – si ragiona – “se devo spendere il mio stipendio per pagare tate o asili, tanto vale rinunciare per intero al mio guadagno”. Invece, insiste la professoressa, “le spese per i figli vanno concepite all’interno di tutto il bilancio familiare”, non solo quello femminile. Ma non c’è da stupirsi: “Secondo dati del 2017 in Italia quasi una donna su due, il 37 per cento, non dispone di un proprio conto corrente”. La gratuità dei servizi per l’infanzia, qualora intervenisse, “aiuterebbe allora nella transizione verso una nuova visione delle cose”. Dove non sono solo le donne a doversi accollare, oltre al lavoro di cura, anche le spese per l’asilo.
La scadenza del 30 giugno del Pnrr
A che punto si è con la realizzazione del Pnrr? “Non si capisce molto” commenta la docente. Lo scorso 30 giugno era “l’ennesimo termine per l’aggiudicazione del 100 per cento dei lavori per gli asili nido sui fondi Pnrr” scrive nella sua newsletter. Le cose non vanno così male se si pensa che “le aggiudicazioni sono state completate per i moltissimi Comuni che sono stati affiancati da Invitalia, sfiorano il 90 per cento anche tra gli enti locali che hanno deciso di procedere in autonomia”. Nel frattempo, fa sapere Rinaldi, l’Italia è in trattative con l’Europa per allungare di ulteriori mesi le scadenze.
Per il Pnrr non solo nuove costruzioni ma anche riqualificazioni
Il nodo è però un altro. E cioè che gli interventi previsti dal Piano non sono solo di costruzione ma anche di riqualificazione. Se ci si concentrasse quindi solo sulle manutenzioni invece di costruire nuove strutture, “il rischio sarebbe di essere esclusi dai finanziamenti comunitari per 100mila posti sui 264.480 previsti”. Andando così a perdere “oltre un miliardo di euro”. Un buco che ancora una volta ricadrebbe sulle donne, sia nel senso di far pesare ancora di più su di loro l’intero lavoro di cura. Sia in quello di precludere le possibilità di un impiego. E, ancora una volta, frenare la crescita del Paese.
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