Il governo Draghi era pronto a varare la legge sul salario minimo. Con l’Europa sul punto di emanare una direttiva che introducesse una soglia minima di retribuzione per tutti i lavoratori. Ma la crisi di governo in atto rischia di far cadere anche questo tra gli altri dossier sul tavolo dell’esecutivo
Sembrava quasi fatta. E invece la legge sul salario minimo rischia – nel pieno di una crisi di governo – di non vedere mai la luce. L’Italia potrebbe così restare uno dei pochi paesi europei rimasti senza. Nel nostro Paese, infatti, la regolamentazione delle retribuzioni per molta parte dei lavoratori è compito della contrattazione collettiva. Ma il momento giusto sembrava arrivato a inizio luglio, dopo il primo via libera del Parlamento Ue al testo di una direttiva che nelle intenzioni andrà a introdurre una retribuzione minima oraria per i lavoratori di tutta Europa. Il premier Mario Draghi aveva annunciato di volersi allineare. E anche il Parlamento nostrano stava lavorando in tal senso. Il disegno di legge c’è, sottoposto all’esame della Commissione Lavoro da maggio scorso. Con un’idea centrale che è – o era – quella di stabilire come importo minimo i 9 euro orari lordi, ovvero comprensivi dei contributi a carico del lavoratore.
Nove euro l’importo a cui fissare il salario minimo
Una cifra non ancora definitiva, ma sulla necessità di una legge che stabilisse un salario minimo pareva ci fosse ormai un consenso quasi unanime. A metterci del suo poi era stato anche il rapporto Inps sul lavoro “povero”, uscito nei giorni scorsi, che testimonia una allarmante decrescita dei salari – e anche delle pensioni – degli italiani. Numeri alla mano, secondo lo studio i lavoratori sotto i 6mila euro annuali, uno dei requisiti per l’accesso al reddito di cittadinanza, sono quattro milioni, contro i 2,5 del 2025. Una crescita dal 18 al 28%, che va di pari passo con il crollo delle pensioni, con assegni che nel 40% dei casi si attestano sotto i mille euro.
Il rapporto choc dell’Inps sul lavoro povero
Sull’onda di dati così negativi anche Pasquale Tridico, presidente Inps in quota Cinque Stelle, aveva ribadito la necessità di introdurre in Italia il salario minimo. Solo qualche giorno fa dichiarava infatti che retribuzioni così basse sono il vero motivo per cui è complicato “per le aziende trovare il personale necessario, più che l’effetto spiazzamento del reddito di cittadinanza”. Con stipendi così bassi e “contratti fermi da nove anni” l’unica strada è quella di una legge sul salario minimo, “con una soglia di 9 euro lordi l’ora sostenibile anche di fronte all’aumento dei prezzi registrato quest’anno”.
Anche Confindustria era d’accordo
Sul salario minimo Confindustria, dal canto suo, si era mostrata più cauta. In una recente intervista, Carlo Bonomi non si era detto contrario all’introduzione del salario minimo, “purché la politica decidesse con responsabilità come attuarlo”. Se applicato, aveva detto, “va fatto in modo intelligente, ipotizzando un primo livello di puro contrasto alla povertà, con il reddito di cittadinanza riformato”. E ancora “un secondo livello, imperniato sul reddito minimo come definito dalla proposta di direttiva, e ancora un terzo basato sui minimi tabellari della contrattazione collettiva e un quarto livello, il superiore”.
L’ok dei sindacati alla revisione dei contratti collettivi
Anche i sindacati, tra i supporter più tiepidi al salario minimo essendo loro i fautori della contrattazione collettiva (e dunque i veri creatori dei minimi salariali), sembravano a loro volta convinti. È un’esigenza che c’è e noi siamo assolutamente d’accordo”, dichiarava giorni fa Maurizio Landini. Il problema, sottolineava, “è rinnovare i contratti nazionali, sia pubblici che privati” riconoscendo la necessità di ridurne il numero “perché ce ne sono troppi”. Occorre quindi “stabilire un minimo salariale sotto il quale nessuno può andare, e rivedere contratti nazionali firmati da soggetti rappresentativi che riguardano milioni di persone, per far sì che diventino diritti garantiti per tutti”. Non solo salari, “ma anche ferie, tredicesime, infortuni, malattie”. Per tutte le forme di lavoro, “non solo i contratti a tempo indeterminato, ma anche per le partite Iva e il lavoro autonomo in generale”.
Un salario minimo anche per gli autonomi
Anche dal mondo dei freelance arriva infatti la richiesta di un salario minimo. Per Anna Soru, presidente dell’associazione Acta, “un salario minimo legale unico fungerebbe da limite chiaramente riconoscibile”. Metterebbe insomma i lavoratori nella condizione di avere dei parametri su cui fissare la richiesta di retribuzione al cliente. “Tutti saprebbero che pagare un lavoratore sotto quella soglia è illegale” prosegue Soru, “perché il mercato del lavoro è lo stesso e le condizioni di subordinati e indipendenti si influenzano reciprocamente”.
Il salario minimo in Europa
Senza contare che in Europa sono solo sei i Paesi in cui manca il salario minimo: insieme all’Italia c’è l’Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia. E che chi ce l’ha, conta con tetti mediamente più alti di quello ipotizzato: in Francia sono 10,57 euro, in Germania 12, in Spagna è fissata una retribuzione mensile minima di 965 euro che verrà riformata a breve per giungere a 1050 euro mensili. Un traguardo che però per l’Italia si fa sempre più rarefatto con un governo traballante e una forte instabilità istituzionale.
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