In Kazakistan una violenta rivolta popolare ha sconvolto il Paese. Alle origini dei malumori delle persone l’aumento dei prezzi energetici, ma in questa crisi hanno giocato un ruolo importante anche le criptovalute. Ecco perché

Scoppiati in apparenza contro il caro energia, i recenti episodi di violenze e disordini di piazza hanno paralizzato per settimane il Kazakistan. Il Presidente Qasym-Jomart Tokayev, dopo aver cercato invano di sedare la rivolta, anche ordinando ai militari di sparare sulla folla per uccidere, è infine riuscito a riprendere il controllo della situazione, soprattutto grazie all’alleanza militare con la Russia. Tuttavia, è da segnalare un fenomeno concomitante che riguarda le paure dei possessori di criptovalute su scala mondiale, che hanno tenuto il fiato sospeso di fronte a questo quadro nazionale. Occorre, perciò, tentare di capire il rapporto esistente tra questa nazione in subbuglio e le criptovalute.

Una rivolta per il caro energia, ma non solo

I primi cortei di protesta kazara risalgono al due di gennaio quando, a Zhanaozen, località che rappresenta il cuore petrolifero del Paese, la popolazione è scesa nelle piazze per lamentare l’aumento del prezzo del gas di petrolio liquefatto (Gpl), utilizzato dalla maggior parte di questa per alimentare i propri mezzi.

In realtà questi malumori popolari hanno origini antiche e risalgono al 2019, quando prese il via un’importante riforma energetica ed economica nel Paese. Tra i punti principali dell’iniziativa riformista vi era una progressiva rimozione dei sussidi sui costi dei beni energetici per far spazio ai principi del liberismo economico, tanto caro alle potenze occidentali che in quel territorio trattano grandi affari. Con la riforma prospettata l’intervento dello Stato doveva essere ridotto al minimo e il mercato avrebbe portato all’autodeterminazione dei prezzi col suo gioco fatto di domanda e offerta. La nuova politica economica adottata in Kazakistan e intitolata “laissez-faire” in nome dell’antico principio di liberismo economico, assieme al reale shock energetico della ripresa post-pandemica, sono sicuramente i principali fattori scatenanti quell’aumento del prezzo che ha portato le persone in piazza. Ben presto però i cortei si sono trasformati in rivolta e i malumori in violenza: in questo senso, è simbolica la foto della statua vandalizzata del “padre della nazione”, Nursultan Nazarbajev, la prima immagine della rivolta a circolare in rete.

 

L’intervento russo e le conseguenze: un bilancio drammatico

In un discorso trasmesso dalla televisione pubblica il Presidente del Kazakistan, Tokayev, ha ammesso di aver ordinato ai suoi militari “di sparare per uccidere senza preavviso” i manifestanti o, come lo stesso preferisce definirli, “banditi e terroristi armati e addestrati”, espressione che di fatto nega un’origine popolare di tali fenomeni.

Infatti, né minacce di repressione né fatti concreti hanno portato i risultati sperati da Tokayev, perché una vera protesta sociale diffusa covava da anni contro un regime ritenuto autoritario e repressivo, nonostante la “mascheratura” costituzionale da repubblica presidenziale. In effetti, l’aumento incontrollato del prezzo dell’energia rappresenta solo la punta dell’iceberg kazaco. Tanto che la rivolta ha subito abbracciato argomentazioni molto più ampie: la dilagante corruzione del ceto dirigente, le limitazioni dei diritti e delle libertà in un Paese in cui al potere c’è lo stesso partito da 31 anni, le promesse mancate di aiuti e sostegni alla popolazione, con la dismissione di qualunque forma di welfare.

Dopo aver imposto lo stato di emergenza, Tokayev ha promesso di prendere in considerazione le richieste dei manifestanti, calmierando i prezzi dell’energia. Convinto però di una regia straniera a dirigere la rivolta in Kazakistan, ha richiesto l’intervento dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), un’alleanza difensiva di cui fanno parte alcuni stati dell’ex-Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. “Forze di pace, russe ed armene, saranno inviate a stabilizzare e normalizzare la situazione causata da interferenze esterne”: così ha dichiarato sul social Facebook Nikol Pashinyan, presidente dell’Alleanza e primo ministro armeno.

Ad oggi il bilancio della rivolta in Kazakistan è un vero bollettino di guerra: oltre 200 morti fra i manifestanti, 20 poliziotti deceduti negli scontri, migliaia di manifestanti arrestati, decine di edifici istituzionali e fabbriche dati alle fiamme, negozi saccheggiati, città distrutte.

 

L’impatto dei miners e il crollo di Bitcoin

Ma andiamo al nocciolo della questione qui affrontata, ovvero perché per i possessori e per gli estrattori di criptovalute il Kazakistan non è da considerare un paese come tutti gli altri. Nel maggio 2021, nella vicina Cina, è avvenuto quello strano fenomeno soprannominato Bitcoin armageddon: il governo di Pechino aveva deciso di vietare l’estrazione di criptovalute, con il non meglio specificato fine di “mantenere l’ordine economico, finanziario e sociale”. Di sicuro sappiamo, però, che la decisione venne presa per far fronte alla grave crisi energetica post-pandemica e per contrastare il sempre più dilagante fenomeno di riciclaggio di denaro che adesso poteva sfruttare l’anonimato (o, per meglio dire pseudonimato) proprio delle criptovalute.

Secondo un’analisi del Financial Times, a seguito del divieto imposto nel territorio cinese 87.849 aziende che si occupavano di criptovalute si sono trasferite nel vicino Kazakistan. Le miniere di carbone, che ne fanno il primo Paese asiatico per giacimenti e il secondo per produzione, permettono ai miners di sfruttare un potenziale energetico enorme, oltre ad una politica fiscale vantaggiosa. Così facendo il Kazakistan si è collocato immediatamente dietro agli Stati Uniti in termini di quota del mercato, con il 18% del mining globale.

Com’è ormai noto il processo di estrazione, necessario per produrre le monete virtuali, richiede che i processori di migliaia di computer compiano un’enorme quantità di calcoli, necessitando di una potenza di elaborazione eccezionale e di conseguenza di un altissimo consumo di energia elettrica; nel caso dei Bitcoin, ad esempio, questi consumi sono stati stimati in 133 TWh, che equivale al fabbisogno energetico di un paese di 10,5 milioni di abitanti come la Svezia.

L’esplosione dell’attività di mining in Kazakistan ha perciò fortemente contribuito alla crisi energetica: il consumo di elettricità è cresciuto dell’8% nel 2021 e questa crescita della domanda ha portato all’innalzamento dei prezzi, non più calmierati dai sussidi di Stato.

Visto l’inarrestabile dilagare dalla rivolta in Kazakistan, il Presidente Tokayev ha dovuto accettare le richieste dei rivoltosi, imponendo misure fiscali più stringenti per i minatori di criptovalute. A ciò si è aggiunta – come sempre più spesso capita durante le rivolte popolari – la decisione di tagliare la connessione internet in tutto il Paese, sospesa dalla principale società di telecomunicazioni per impedire l’organizzazione dei movimenti di rivolta sfruttando i principali social network. Questo ha reso impossibile compiere qualsiasi transazione con le criptovalute, visto che le macchine devono operare online. In poche ore la capacità locale e mondiale di calcolo e perciò di estrazione è crollata.

Si può facilmente notare come a risentire della rivolta in Kazakistan è stato anche il valore delle criptovalute ed in particolare di Bitcoin, sceso dopo un periodo di grandi performance. Giorno 2 gennaio, data di inizio dei moti rivoltosi, il valore si aggirava attorno ai 42 mila euro, per poi toccare il valore minimo degli ultimi quattro mesi – circa 36.500 euro – poco prima dell’intervento russo-armeno. Da quel momento il valore della criptovaluta ha ricominciato a crescere, seppur lentamente. Forse qualcuno ne sta mettendo in discussione la sussistenza futura? Certamente la rivolta in Kazakistan ha mostrato a tutto il mondo, attraverso immagini circolate sui social ed in televisione, le gravi problematiche di sostenibilità ambientale legate alle criptovalute e le conseguenze relative al diffondersi sempre di più di questi metodi di pagamento.

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