Il Recovery Fund può essere definito come un mezzo per sostenere i paesi dell’Unione Europea in difficoltà economica e sanitaria post pandemia

Non è ancora stato definito del tutto, ma il suo nome è già cambiato. Non si chiamerà più Recovery Fund, ma Next Generation Eu. Il nuovo appellativo deriva da una scelta strategica e di marketing: lo strumento formerà un “nuovo patto generazionale”. Utile a riparare i danni del Covid 19, ma anche a preparare un futuro migliore per le nuove generazioni. Next Generation Eu, appunto.

Il matrimonio combinato

Tutte le economie europee, da marzo in poi, hanno subito flessioni imponenti del PIL. Tutto ciò è accaduto a causa del Covid 19, che ha imposto all’Unione Europea di trovare una nuova soluzione condivisa per evitare una crisi finanziaria globale. L’idea di base è quella di condividere l’emergenza. L’obiettivo dell’UE, d’altronde, era proprio questo: nel bene e nel male, tutti insieme. Come in ogni matrimonio, in questo caso combinato, quindi ancor più complesso, non è tutto oro quel che luccica. I Paesi del Nord, come l’Austria e l’Olanda, si rifiutano di condividere il debito con i Paesi del Sud, come l’Italia e la Spagna, che invece vorrebbero il tutti insieme felici e contenti. Nel bailamme di soluzioni sembra proprio che con il Recovery Fund (o Next Generation UE) il matrimonio s’ha da fare (Manzoni rabbrividirebbe per la citazione, ma era necessario mantenere la metafora fino alla fine).

Gli altri partner dell’Unione Europea

Su spinta dell’Italia, la Commissione UE, con l’ok a sorpresa di Germania e Francia, a fine maggio ha presentato la sua proposta, basata su concessioni di denaro a fondo perduto. Nella seconda modifica sono stati inseriti sia finanziamenti (da restituire) che concessioni a fondo perduto.  Per ora sono solamente proposte, perché per entrare in vigore sarà necessario il via libera di tutti i 27 paesi membri. L’Italia dovrebbe ricevere circa 175 miliardi di euro, tra prestiti e finanziamenti a fondo perduto, più di ogni altro stato membro, dei 750 messi sul tavolo.

L’opposizione della Grecia

Il Premier greco, Kyriakos Mitsotakis, ha dichiarato che la Grecia rifiuterà non solo il Mes, ma anche qualsiasi aiuto del Recovery Fund. No al matrimonio. «La Grecia ha già fatto tanti sacrifici in cambio dei prestiti europei», ha detto Mitsotakis, «e non vuole più saperne di una supervisione ‘rigorosa e impopolare’ sui suoi conti pubblici. Anzi, considera politicamente inaccettabili le eventuali condizionalità del Recovery Fund». Alla base del fondo, infatti, ci sarebbero delle condizioni, che la Grecia ha pagato a caro prezzo in passato. Lo ha spiegato in maniera dettagliata Italia Oggi, in un articolo pubblicato il 10 luglio. 

“Se non vuole avere più tra i piedi gli emissari della Troika, né quelli del Mes, è perché ha toccato con mano che i sacrifici imposti al suo paese a partire dal 2012”.

Tra questi casi, è emerso pochi giorni fa quello della tedesca Fraport, società di trasporti che detiene partecipazioni in numerosi aeroporti in giro per il mondo. Tra cui vi sono 14 aeroporti greci, che Fraport ha acquisito in gestione nel 2015 per la durata di 40 anni, grazie a una privatizzazione per concedere un prestito Mes ad Atene. All’interno vi sono quelli di alcune tra le isole più celebri come luogo di vacanza, tra cui Santorini, Kos, Mykonos, Chania, Samos, Zakynthos e Cefalonia.

La clausola dell’accordo che mette in ginocchio la Grecia

Alla società tedesca venivano infatti concessi tutti i vantaggi economici dell’operazione, mentre i rischi e gli svantaggi sarebbero rimasti al governo greco. In particolare, una clausola prevede che il locatario degli aeroporti (Fraport) possa rivendicare al governo greco la copertura delle eventuali perdite «causate da eventi di forza maggiore», come il crollo del traffico aereo causato dalla pandemia del Covid-19.

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Fraport, dunque, ha presentato di recente al governo di Atene il conto dei mancati profitti del primo semestre 2020: 175 milioni di euro. A giudizio di alcuni analisti tedeschi, la soluzione del problema potrebbe essere individuata proprio nella accettazione del Recovery Fund da parte del governo di Atene. In tal caso, a pagare il conto delle perdite di Fraport sarebbero tutti i contribuenti europei, tramite i contributi nazionali al fondo. Per questo, ora, Mytsotakis dice basta Mes, e niente Recovery Fund con condizionalità.

Le conclusioni: quando lo scambio delle fedi?

Come molti hanno già previsto, è probabile che le discussioni più importanti siano quelle del Consiglio Europeo straordinario convocato per il 17 e il 18 luglio. Anche se, con ogni probabilità, si andrà molto oltre con le discussioni. Un’intesa completa, se si troverà, arriverà probabilmente dopo l’estate. Mettere d’accordo 27 stati membri è un’operazione complessa e, solamente a compimento, sapremo a tutti gli effetti cosa sia il Recovery Fund e quale sarà il suo funzionamento definitivo. Il matrimonio s’ha da fare, con buona pace per Don Abbondio.