L’economia globale è strettamente legata a quella cinese. Il Paese detiene un ruolo molto importante all’interno del commercio mondiale, soprattutto con l’Occidente. Se la crisi dell’economia cinese dovesse continuare, anche le esportazioni subirebbero una contrazione, cosa che potrebbe danneggiare – a cascata – molti Paesi, Italia compresa

Gli analisti si aspettavano che l’economia della Cina, con la fine delle rigide restrizioni dovute alla pandemia, sarebbe tornata a crescere in maniera consistente. E invece il PIL cinese è in timido aumento, e il Paese – per la prima volta in oltre due anni – è entrato in deflazione, ovvero è in corso una riduzione generalizzata del livello dei prezzi. Inoltre, l’andamento dei consumi è piuttosto debole e la crisi del mercato immobiliare – particolarmente rilevante in Cina – non accenna a fermarsi. Questo settore è forse quello da cui dipende di più il rallentamento dell’economia cinese – vale un quarto del PIL del Paese, ma negli ultimi anni ha grandi difficoltà, che di recente si sono aggravate. La Cina oggi si ritrova con un notevole surplus di case e con diffuse speculazioni edilizie: una bolla immobiliare, questa, che secondo molti economisti presto o tardi è destinata a scoppiare, con tutte le conseguenze del caso.

 

Da dove vengono i problemi dell’economia cinese

Si teme quindi che gli investimenti nel mercato immobiliare si ridurranno per molto tempo e, poiché è quello che finora ha trainato il Paese, i contraccolpi sugli altri settori potrebbero non essere da poco, danneggiando l’intera economia cinese, e di conseguenza quella mondiale. Un campanello d’allarme già evidente è rappresentato dall’aumento della disoccupazione, soprattutto tra i giovani: oltre il 20 per cento di coloro che hanno tra i 16 e i 24 anni non ha un lavoro. In un tale clima di incertezza, famiglie e imprese cinesi preferiscono rimandare gli investimenti, con il risultato che i consumi non crescono: l’economia cinese è una delle poche in cui i prezzi si riducono – un pessimo segnale per l’economia, perché di fatto significa che chi vende prodotti o servizi è costretto a diminuire il costo della merce pur di guadagnare qualcosa.

Anni fa, inoltre, la Cina era considerata “la fabbrica del mondo”, perché molte aziende – soprattutto in Occidente – avevano spostato nel Paese le loro produzioni, o compravano direttamente dalle industrie cinesi. Ma di recente, sembra aver perso questo suo primato, da un lato a causa delle conseguenze della guerra commerciale con gli Stati Uniti, dall’altro a seguito delle politiche del governo, che hanno reso più difficile per le realtà straniere investire nel Paese. Nei primi cinque mesi del 2023 le importazioni degli Stati Uniti dalla Cina sono calate di un quarto rispetto all’anno precedente: è la prima volta che si registra una riduzione così consistente. A causa dei numerosi rischi economici provocati da queste manovre, molte aziende stanno cercando di ridurre la propria dipendenza dalla Cina, e di estendere la loro presenza ad altri Paesi ritenuti economicamente meno rischiosi.

C’è infine il tema dell’invecchiamento della popolazione cinese, che scatenerà nel lungo termina una serie di notevoli implicazioni economiche e politiche, tra cui la diminuzione della forza lavoro – l’Economist stima che questa si ridurrà di 15 punti percentuali nei prossimi 15 anni; in uno scenario del genere, anche i consumi complessivi ne usciranno indeboliti. Per tutte queste ragioni il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden è arrivato a definire la Cina «una bomba a orologeria».

 

Le conseguenze sull’Italia della crisi in Cina

La Cina è tra i principali partner commerciali dell’Italia. Ma nel caso le importazioni dovessero calare, a seguito del raffreddamento dell’economia cinese, il nostro Paese non disporrebbe della capacità di spesa per finanziare settori in cui oggi – a differenza ad esempio di Stati Uniti e Germania – dipendiamo in buona parte dalla Cina, come l’innovazione. Inoltre, il clima di incertezza dell’economia globale, causato anche e soprattutto dalla contrazione del gigante-cinese, sta rendendo molto più prudenti le banche europee e italiane, che fino a diversi mesi fa concedevano in genere prestiti equivalenti all’80 per cento del valore di un determinato bene, come un immobile, mentre oggi raramente superano il 60 per cento. Un ulteriore aumento dei tassi d’interesse potrebbe essere una delle conseguenze più pesanti di questo cambio di passo nel settore bancario – e qualsiasi attività coinvolta in finanziamenti e prestiti potrebbe venire colpita.

L’Italia deve poi decidere entro la fine del 2023 se continuare a essere parte dell’iniziativa “Belt and Road” (spesso chiamata anche “Nuova Via della Seta”). Promosso dalla Cina, il progetto prevede grandi investimenti su infrastrutture in tutto il mondo, con l’obiettivo implicito di espandere l’influenza economica e politica del Paese – tanto che quasi tutti i governi occidentali si sono opposti. Per l’Italia, in effetti, la mossa di aderire all’iniziativa non si è rivelata così vincente: negli ultimi quattro anni le esportazioni italiane in Cina sono cresciute di poco, passando da 13 miliardi di euro a 16,4, mentre sono aumentate considerevolmente le esportazioni cinesi in Italia – da 31,7 miliardi di euro a 57,5. Anche per questo, il ministro della Difesa Guido Crosetto di recente ha definito la scelta da parte del primo governo Conte di entrare in questo progetto «un atto improvvisato e scellerato».

Le ragioni per cui uscire dalla “Belt and Road” sarebbe comunque problematico per l’Italia sono sia di natura diplomatica che economica. La Cina percepirebbe la decisione italiana come una sorta di provocazione: di fronte a questo atto di sfiducia potrebbe quindi scegliere di mettere in atto ritorsioni di natura economica e raffreddare i rapporti diplomatici. Al contempo, però, riconfermare la presenza nella “Belt and Road” sarebbe un segnale scoraggiante di fronte agli alleati atlantisti: significherebbe che l’Italia è ancora «l’anello debole della catena» nello scontro di potere tra le potenze occidentali e la Cina, come scrisse Politico.

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