Da decenni i governi hanno investito fiumi di denaro pubblico per il ponte sullo Stretto, un’opera che non è mai stata fatta e che probabilmente non si farà mai. Eppure, puntualmente e periodicamente, il tema viene ripescato. Ecco una ricostruzione della storia (infinita) del Ponte e i numeri sugli sprechi

Si torna a parlare del ponte sullo Stretto di Messina, di nuovo. Pochi giorni fa il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Enrico Giovannini, ha consegnato in Consiglio dei ministri un’informativa sulle azioni necessarie per avviare la realizzazione di un nuovo studio di fattibilità tecnico-economica per la realizzazione del Ponte. Si tratta di una grande opera su cui si dibatte da decenni e che non ha mai visto la luce a causa di molti problemi, di tipo strutturale, ambientale ed economico.

L’idea rivoluzionaria è quella di abbandonare il vecchio progetto del ponte a campata unica, della lunghezza di 3300 metri, e di studiare invece come realizzare un ponte aereo a più campate. È quindi il nuovo ed ennesimo capitolo di una vicenda interminabile in cui lo Stato ha impiegato milioni e milioni negli anni. Nel frattempo, però, 510 milioni di euro del Pnrr verranno destinati al potenziamento dell’attuale collegamento fra le coste.

Ponte sullo Stretto: una storia infinita

L’idea di collegare la Sicilia al resto d’Italia ha avuto origine molto prima che nascesse il nostro Stato. I primi progetti risalgono all’epoca romana: Plinio il Vecchio racconta la costruzione di un ponte fatto di barche e botti voluta dal console Lucio Cecilio Metello nel 251 a.C., per trasportare dalla Sicilia 140 elefanti da guerra catturati ai cartaginesi nella battaglia di Palermo durante la prima guerra punica. La costruzione del ponte, però, avrebbe poi impedito il transito delle navi nello stretto.

Nel 1866, invece, il ministro dei Lavori Pubblici, Stefano Jacini, aveva incaricato l’ingegner Alfredo Cottrau di studiare un progetto per il ponte sullo Stretto di Messina. L’ingegnere pubblicò poi nel 1883 un saggio intitolato “Può gettarsi un ponte sullo stretto?”.

Negli anni ‘50 e ‘60 si sono poi susseguiti numerosi progetti per collegare Ganzirri, una frazione di Messina, alla Calabria, alcuni dei quali prevedevano tunnel sottomarini; negli anni ‘70 l’Iri e l’Eni si sono interessati alla questione, supportando rispettivamente la tesi del ponte a campata unica e di Archimede, ossia quello sommerso. Nel 1981, però, fu costituita la società concessionaria Stretto di Messina S.p.a., che divenne protagonista della progettazione, optando per la campata unica. Il suo capitale era infatti detenuto dall’Iri, oltre che da Italstat, Ferrovie dello Stato, Regione Sicilia e Regione Calabria. Nel 1986 l’allora presidente dell’Iri, Romano Prodi, disse che il ponte sullo Stretto era una necessità e che sarebbe stato concluso entro il 1996.

Lo stesso entusiasmo, se non maggiore, fu poi quello di Berlusconi, che alla sua rielezione del 2001 aveva promesso di stanziare 10mila miliardi delle vecchie lire per le grandi opere, fra cui il ponte sullo Stretto. Lungo 3,6 chilometri, largo tre corsie per ogni carreggiata (due di marcia ed una di emergenza), con una sezione ferroviaria comprendente due binari con due marciapiedi laterali pedonabili e un’altezza massima delle due torri di 382,60 metri sul livello del mare, sarebbe costato 9 mila miliardi di lire, con una percentuale del 48% coperta dallo Stato, il 34% a carico di capitali privati e il 18% sotto forma di finanziamenti provenienti dall’Unione Europea. I primi cantieri aprirono nel 2003 per lavorare alla deviazione ferroviaria, poi più nulla.

Dopo anni di tergiversazioni, Mario Monti, nel 2013, decise la messa in liquidazione della Stretto di Messina S.p.a. . In seguito ne abbiamo risentito parlare perché, nel 2016, Matteo Renzi rilanciò l’idea, sostenendo che avrebbe creato 100mila posti di lavoro.

I costi, anche quelli infiniti

Secondo un rapporto della Corte dei Conti stilato nel 2010, il costo di realizzazione sarebbe stato pari a 4,68 miliardi di euro. Nonostante però del ponte sullo Stretto non si sia mai posata una pietra, lo Stato ha sostenuto comunque dei costi ingenti fra progetti, valutazioni, consulenze e altro ancora. Non ci è dato sapere esattamente quanto si sia speso in questi decenni, ma alcuni dati possono darci un’idea.

Stretto di Messina S.p.a. aveva infatti ricevuto 10 miliardi di lire in due tranche di pari valore, rispettivamente nel 1988 e nel 1989, mentre il resto delle attività, all’epoca, le avrebbe finanziate con i propri mezzi. Convertendo il valore in euro e aggiornando all’inflazione, si tratta di 10.930.810 euro. Negli anni Duemila, però, le varie modifiche ai progetti sono costate un po’ di più e nel 2009 lo Stato ha versato 1,3 miliardi di euro di contributi in favore della società Stretto di Messina. Nel frattempo il costo totale del ponte è lievitato: nel Documento di programmazione economico-finanziaria 2009-2013 si è arrivati a 6,1 miliardi di euro.

Nel 2013 la società è stata dunque messa in liquidazione, ma la sua esistenza si è protratta fino al 2017, quando la corte dei Conti ne ha chiuso i battenti. In quell’ultima relazione, la Corte ha affermato che “la complessa vicenda riguardante la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina si è evoluta venendosi a determinare, nel tempo, condizioni contrattuali di particolare favore nei confronti della parte privata”. Ogni suo anno di vita, infatti, è costato alle casse pubbliche un onere annuo molto salato, che solo nel 2015 è sceso sotto i due milioni di euro, mentre nel 2016 è stato di più di un milione e mezzo.

Fattibilità: problemi su problemi

Ma se sono già stati spesi così tanti soldi, perché non è ancora iniziato? I problemi sono molti, in primis ambientali. Lo stretto di Messina è una zona sismica, il che complica molto la realizzazione di un’opera la cui fattibilità è stata messa in dubbio dalla stessa Corte dei Conti: “la fattibilità assume maggiore interesse, poiché il modello progettuale infrange ogni primato sinora esistente (lunghezza dell’impalcato, larghezza della sede stradale e ferroviaria, altezza delle torri e diametro dei cavi); rispetto al ponte più lungo ad unica campata attualmente esistente al mondo, il ponte giapponese di Akashi-Kaikyō (con una campata unica di metri 1.991), il ponte sullo stretto di Messina avrebbe una lunghezza superiore del 39,6%, pari a metri 3.300″.

Come se non bastasse, la sua costruzione interferirebbe con la fauna marina e inquinerebbe la zona. Per non parlare del fatto che il 4 novembre del 2005 la Direzione investigativa antimafia comunicò al Parlamento italiano i tentativi di Cosa nostra di interferire sulla realizzazione del ponte. Il fatto portò ad un’inchiesta che fra i vari rimpalli contrattuali e contabili ostacolò un progetto che ancora oggi non è chiaro se vi sia la reale volontà politica di intraprendere.

Lo studio di fattibilità del ministro Giovannini include anche l’ipotesi zero, quella che vede il ponte come un’opera inutile e improduttiva e che contempla una chiusura definitiva del progetto. Potrebbe essere quindi la fine di questa storia? Poco meno di un anno fa, nel maggio 2021, lo stesso ministro sembrava fermo sul punto che il ponte sullo Stretto non si sarebbe fatto, o almeno non ora e soprattutto non con i fondi del Recovery Plan.