Sempre più spesso per riferirsi all’attuale situazione mondiale viene usato il termine “policrisi”, secondo cui diverse grandi crisi – economica, climatica e geopolitica – sono sovrapposte l’una con l’altra, con tutte le conseguenze del caso. La parola si trova soprattutto sui media anglosassoni che si occupano di economia, e – riuscendo a definire in breve una sensazione di disagio economico diffuso e complesso – molte persone vi si sono riconosciute quasi all’istante.
Il termine “policrisi” è diventato celebre dopo essere stato adottato da Adam Tooze, uno degli storici dell’economia più famosi degli ultimi anni. Secondo Tooze ci troviamo in un momento in cui le grandi crisi globali «interagiscono tra loro in maniera tale che l’insieme delle parti è più opprimente della loro semplice somma». Tooze alla “policrisi” ha dedicato numerose edizioni della sua newsletter Chartbook – molto popolare nei Paesi anglosassoni e non solo. Secondo l’economista, «ciò che rende le crisi degli ultimi 15 anni così disorientanti è che non sembra più possibile indicare una singola causa e, di conseguenza, una singola soluzione».
A Tooze si è aggiunto anche Larry Summers, ex segretario del Tesoro americano e uno degli economisti più celebri del mondo, che commentando l’accumularsi delle varie crisi in corso ha detto: «Questa è la più complessa, disparata e trasversale serie di sfide che ricordi in 40 anni, da quando ho cominciato a fare attenzione a queste cose».
Da dove nasce la “policrisi”
Molte delle crisi descritte dal termine “policrisi” derivano dalla pandemia da coronavirus, e dall’emergenza sanitaria – senza precedenti nella Storia moderna – che ne è scaturita. Questa è stata una delle principali cause scatenanti della crisi dei commerci globali, e ha obbligato i governi occidentali ad adottare politiche economiche straordinarie per sostenere la popolazione durante i vari lockdown – cosa che ha determinato un aumento dell’inflazione. La guerra in Ucraina provocata dalla Russia ha poi amplificato a sua volta i timori per l’economia e ha contribuito al blocco del commercio. A tutto questo si aggiunge la crisi climatica, con le conseguenze che sta portando e che porterà nei decenni a venire.
L’invasione russa dell’Ucraina è avvenuta in un momento in cui l’economia mondiale si stava riprendendo dopo due anni di pandemia e crisi economica. Secondo molti osservatori, il 2022 avrebbe dovuto essere l’anno della ripartenza. Anche se in parte è stato così, la guerra ha cambiato le carte in tavola e l’economia mondiale ha subìto nuovi colpi. Dalla crisi energetica a quella alimentare fino all’inflazione: le singole crisi si sono sovrapposte fino a creare la sensazione di “policrisi” nelle popolazioni e nei mercati.
Non a caso oggi “policrisi” è stato eletto una dei termini-simbolo del 2022, e il contesto che descrive è stato uno degli argomenti più discussi dell’ultimo World Economic Forum di Davos. A conferma della fondatezza del concetto, ci sono altre parole che stanno cercando di esprimere lo stesso disagio descritto dalla “policrisi”. Il dizionario d’inglese Collins ha ad esempio eletto come parola dell’anno 2022 il termine “permacrisis” – che indica la sensazione di vivere in un mondo in perenne stato di crisi economica, dove non è mai il momento giusto per investire.
È solo una moda passeggera?
Il primo a utilizzare il termine “policrisi” è stato il filosofo e sociologo Edgar Morin negli anni Novanta, per riferirsi in particolare alla crisi climatica. Nel 2016 Jean-Claude Juncker, allora presidente della Commissione Europea, per parlare delle molte crisi che l’Europa viveva in quel momento (da quella del debito sovrano a quella migratoria), disse: «L’Unione Europea rischia camminare come un sonnambulo da una crisi all’altra, senza mai svegliarsi».
Per quanto tornata così in voga oggi, grazie anche e soprattutto a Tooze, la parola “policrisi” sta trovando anche alcune resistenze tra gli economisti. C’è infatti chi dice che in realtà non contribuisca a definire un fenomeno nuovo, e che per questo il suo utilizzo è una moda passeggera destinata a scomparire. Secondo altri la parola – anche se evocativa e sintetica, e per questo efficace – sarebbe fin troppo generica, soprattutto in riferimento alla complessità tipica dell’ambito economico. Anche per questo negli ultimi mesi c’è stato un certo dibattito attorno al tentativo di individuare le caratteristiche specifiche della cosiddetta “policrisi”.
In particolare il dibattito verte sul fatto che le crisi mondiali siano diventate effettivamente più complesse, rispetto a quelle dei decenni e dei secoli passati. Diversi articoli di recente pubblicazione analizzano i numerosi periodi di crisi, enormi e complesse, a partire da quelle scaturite dalle due Guerre mondiali. Su Bloomberg, l’economista Andreas Kluth ha sostenuto che una molteplicità di crisi che si intersecano e si amplificano l’una con l’altra è comune a molti grandi fenomeni storici, come ad esempio alla caduta dell’Impero romano.
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