I salari italiani sono tra i più bassi d’Europa e quelli che crescono meno. Colpa del cuneo fiscale che affossa le buste paga, colpite da troppe tasse e imposte a carico del datore di lavoro. Con il risultato che, a parità di lordo, gli italiani guadagnano meno degli omologhi europei.
Che i salari italiani siano troppo bassi lo ha messo in luce anche il recente rapporto Oxfam ‘La disuguaglianza non conosce crisi’ presentato in apertura dei lavori del Wef di Davos. “L’Italia è l’unico membro dell’Ocse” si legge, “in cui nel trentennio 1990-2020 il salario medio annuo è diminuito del 2,9 per cento, con una forte caduta (-8,3 per cento) nel decennio 2010-2022”. La conseguenza è che, a parità di importo lordo, l’italiano è quello che percepisce di meno rispetto ai suoi omologhi tedeschi o spagnoli. E la colpa sembrerebbe essere tutta del cuneo fiscale, spesso al centro delle cronache nell’ormai decennale dibattito della politica su come tentare di ridurlo.
Salari italiani affossati dal cuneo fiscale
All’interno dei salari italiani, il cuneo fiscale – è bene precisarlo – è la differenza tra costo sostenuto dal datore di lavoro e il netto in busta paga incassato dal dipendente. Dentro ci sono imposte e contributi previdenziali che il datore deve versare allo Stato in qualità di sostituto d’imposta. Più nello specifico il cuneo fiscale è composto da imposte a carico del lavoratore e contributi previdenziali, che sono invece sostenuti in percentuali distinte da lavoratore e datore di lavoro. Sono questi ultimi, ovvero i contributi a carico del datore di lavoro, che pesano per circa il 24%, a finanziare in gran parte la previdenza. Ma anche contingenze quali cassa integrazione, disoccupazione, maternità, assegni familiari. Vale a dire che nel cuneo fiscale italiano è ricompresa anche una larga parte di tasse destinate alla futura pensione e alla copertura delle emergenze come la perdita del lavoro.
I fattori che producono bassi salari
Il risultato è che maggiore è il peso di queste spese, minore sarà il salario percepito. Secondo il rapporto ‘Taxing wages 2022‘ dell’Ocse, l’Italia si colloca al quinto posto nell’area Ocse per cuneo fiscale, con una aliquota che affligge le buste paga per il 46,5 per cento (in leggero calo rispetto al 2020 dello 0,41 per cento), contro una media del 34,6%. Peggio dell’Italia fanno Francia, Austria, Germania e Belgio, che tocca il record assoluto con il 52,6 per cento. Va detto però che il confronto non può essere esatto bensì solo approssimato dal momento che ogni Paese adotta una diversa legislazione. Nel caso della Germania ad esempio, tra le componenti del cuneo fiscale vi è una percentuale minore per la previdenza (il totale è del 16% tra datore di lavoro e lavoratore), che dà luogo poi a una pensione più bassa. In più il cuneo fiscale tedesco paga anche una parte di sanità pubblica, mentre in Italia il peso è tutto sulla fiscalità generale.
L’italiano l’europeo con il salario più basso
Nonostante questo, come spiega Raffaele Fabozzi, ordinario di diritto del Lavoro all’università Luiss intervistato da Today, l’italiano sarebbe comunque l’europeo che andrebbe a percepire di meno subito dopo il Belgio. Questo perché non è solo il cuneo fiscale a pesare sulla busta paga, “ma anche Tfr e contributi Inail, tali da far salire il cuneo italiano fino al 50 per cento”. Ecco allora che facendo alcuni calcoli, sempre secondo Today, si giunge alla conclusione per cui a parità di stipendio lordo, 28mila euro, a un italiano vanno mensilmente 1520 euro, a uno spagnolo 1680, a un tedesco 1730. Non solo: la differenza tra Italia e resto della Ue viaggia anche su altri binari, come per esempio nel livello di specializzazione. Tanto che l’Italia, secondo l’Eurostat, registra tra le percentuali più alte di professioni non qualificate, pari al 13%. E poi la produttività, storico problema del mondo del lavoro italiano. Il Pil prodotto per ora lavorata in Italia è pari a 54,2 euro, contro i 60,5 dell’area euro.
Impoveriti nel confronto con l’Europa
La percezione diffusa è comunque quella di incassare salari tra i più bassi d’Europa. Un’indagine di dicembre scorso dell’Osservatorio Futura della Cigl mette in luce come ben l’86% degli intervistati ritenga inadeguato il proprio salario. E si senta impoverito nel confronto con il resto dell’Europa. Complice anche la maxi-inflazione che erode gli stipendi, con contratti nazionali scaduti a dicembre scorso in attesa di vedere rinnovati gli importi per adeguarli al costo della vita. In particolare quelli dei trenta più importanti, che raggruppano al loro interno 6,8 milioni di lavoratori del settore privato, più della metà dei 12,8 totali.
Abbassare le tasse per aumentare i salari
Secondo Fabozzi, se i salari italiani sono bassi la soluzione più logica è quella di abbassare le tasse. E aggiunge: “La lotta all’evasione in questo senso può aiutare, per aumentare le entrate dello Stato”. Ma anche il carico dei datori di lavoro va diminuito, anche perché “con la modifica delle aliquote fiscali si possono aumentare gli stipendi”. Il vero nodo resta poi il reperimento delle risorse: per tagliare i contributi fiscali solo per i redditi fino ai 35mila euro, secondo il presidente di Confindustria Carlo Bonomi , servirebbero 16 miliardi di euro.
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