Secondo molti analisti è importante pensare a garantirsi una copertura economica adeguata dopo la vita lavorativa, investendo per tempo, anche da giovanissimi, in misure non tradizionalmente previste dal regime pubblico
A partire dagli anni ‘70, il sistema pensionistico pubblico si è basato su un “patto intergenerazionale”: le pensioni attuali vengono pagate con i contributi dei lavoratori attivi, le cui pensioni saranno poi pagate con i contributi dei giovani che entreranno nel mondo del lavoro. Il regime pensionistico pubblico italiano funziona quindi secondo il sistema a ripartizione. L’invecchiamento della popolazione e il calo delle nascite hanno però avuto come effetto la diminuzione del numero dei lavoratori attivi, così come di coloro che entrano nel mondo del lavoro, aumentando al tempo stesso la quantità di pensionati – creando così un deficit notevole per le casse dello Stato.
Per questo motivo le istituzioni sono state costrette a rivedere il sistema di welfare pubblico e, in particolare, quello pensionistico, con l’obiettivo di contenerne la spesa. Le riforme introdotte negli anni ‘90 hanno avuto l’effetto di ridurre l’importo delle pensioni future, specie per i lavoratori più giovani, al fine di garantire la sostenibilità dell’intero sistema..òl
In questo modo, al metodo retributivo di calcolo della pensione – dove la pensione veniva calcolata in percentuale rispetto alla retribuzione media ricevuta durante gli ultimi anni di lavoro – si sostituisce il sistema contributivo: qui il valore della pensione è determinato esclusivamente in funzione ai contributi versati nell’arco della vita lavorativa. Per compensare questa diminuzione della prestazione pensionistica pubblica, le istituzioni hanno quindi disposto una serie di provvedimenti facoltativi a sostegno di forme di pensione private. Alla previdenza obbligatoria è stato quindi affiancato un secondo livello di copertura pensionistica attuabile su base volontaria: la pensione integrativa.
I vantaggi e le caratteristiche della pensione integrativa
La pensione integrativa è una forma di risparmio pensionistico che si aggiunge a quella di base prevista dal sistema italiano: il suo scopo è quello di contribuire a mantenere un tenore di vita adeguato anche dopo il pensionamento, in un regime tutelato e fiscalmente vantaggioso – inoltre, in certi casi, può anche permettere di concludere il percorso lavorativo prima di aver raggiunto l’età pensionistica prevista per legge.
I fondi pensione sono lo strumento attraverso cui si attua la pensione integrativa, e vengono classificati in diverse tipologie a seconda del soggetto che li istituisce e delle modalità di adesione:
- Fondi pensione aperti, in cui l’adesione è aperta – a prescindere dalla condizione lavorativa – a tutti coloro che intendono costruirsi una pensione integrativa rispetto a quella di base; sono istituiti da banche, assicurazioni, SGR (società di gestione del risparmio) e SIM (società di gestione immobiliare). Oltre all’adesione del singolo, ammettono anche adesioni in forma collettiva.
- PIP (Piani Individuali Pensionistici): sono forme pensionistiche complementari individuali rivolte a tutti coloro che, indipendentemente dalla propria situazione lavorativa, intendono costruirsi una rendita integrativa e sono istituite esclusivamente dalle compagnie assicurative.
- Fondi pensione chiusi (o negoziali), in cui – a differenza delle tipologie precedenti – l’adesione è riservata a specifiche categorie di lavoratori (come metalmeccanici o avvocati, tra gli altri) e sono istituiti sulla base di accordi tra le organizzazioni sindacali e le aziende.
Inoltre, la tassazione dei fondi pensione è particolarmente vantaggiosa – ad esempio i contributi versati annualmente nel fondo sono deducibili fiscalmente – e, a differenza di quanto si potrebbe pensare, il piano di risparmio del fondo pensione non è vincolante bensì molto flessibile: in linea generale le scelte fatte al momento dell’adesione al fondo sono modificabili nel tempo per meglio adeguarsi alle evoluzioni delle esigenze di vita. Lo strumento, infine, può anche aiutare ad affrontare particolari emergenze durante la fase di contribuzione, richiedendo anticipazioni e riscatti parziali o totali.
Nonostante questo, in Italia la pensione integrativa continua a essere poco conosciuta, soprattutto a coloro che sono appena entrati nel mondo del lavoro, e in questo modo non sfruttano – o sfruttano troppo tardi – le opportunità presenti nel settore.
Una recente indagine di Eurispes mostra che, nonostante la bassa diffusione, la pensione integrativa è vista come un investimento sicuro da coloro che l’hanno adottata: se da un lato l’acquisto di un immobile rappresenta ancora un sinonimo di garanzia per quasi la metà dei cittadini (il 48,2%), la pensione integrativa si posiziona subito dopo con il 40,6%. Alla fine del 2021 l’offerta di strumenti di previdenza complementare risultava composta da 349 forme pensionistiche, ma – come riportato nel corso di un’audizione parlamentare dal presidente della Covip, Mario Padula – alla fine del 2021 il totale degli iscritti alla previdenza complementare non arrivava ai 9 milioni.
In aggiunta, l’iscrizione a fondi pensione viene fatta soprattutto tra la classe d’eta 35–54 anni; solo il 17,6% degli iscritti ha meno di 35 anni e, all’interno di tale fascia, quelli con meno di 19 anni sono appena il 2,2%. Queste ultime percentuali preoccupano molto gli analisti, perché stridono con le reali esigenze dei giovani di oggi – che, con ogni probabilità, faranno i conti con carriere intermittenti e ritardi nell’inserimento nel mondo lavorativo, con conseguenze dirette sul proprio regime pensionistico di base.
La pensione integrativa in Europa
Le trattative per incentivare la pensione integrativa in Italia
Consci di queste problematiche, i sindacati italiani che si occupano di riforma delle pensioni ritengono sia necessario, da parte del governo, rendere innanzitutto maggiormente appetibile e conosciuta – ai lavoratori più giovani così come agli studenti – la pensione integrativa e le sue potenzialità: una delle proposte avanzate in questo senso destinerebbe il TFR alla previdenza complementare e offrirebbe incentivi fiscali mirati ai giovani e ai lavoratori a basso reddito – come riportato in un’audizione parlamentare da Mario Padula, presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip).
Dopo lo stop imposto a metà febbraio dal cambio di agenda di governo a causa della crisi energetica e del conflitto in Ucraina, il tavolo sulla nuova mini-riforma delle pensioni è a oggi ancora fermo. I sindacati, però, continuano a chiedere all’esecutivo di far ripartire le trattative per incentivare le adesioni ai fondi pensione integrativi; anche perché si avvicina la “deadline” di settembre, quando verrà definita la prossima legge di Bilancio, in cui dovrebbero essere inserite le nuove misure sulla previdenza – a meno di non prorogare Quota 102, che scade a fine anno, o di tornare integralmente alla legge Fornero.
Il tema è particolarmente urgente se si tiene conto del fatto che l’Italia è uno dei paesi in cui l’età effettiva in cui si va in pensione è più bassa dell’età nominale consentita, contrariamente al luogo comune secondo cui gli italiani vanno in pensione più tardi rispetto al resto del mondo. Nei fatti l’età pensionabile si aggira mediamente intorno ai 64 anni: in alcuni Stati come Giappone, Messico, Corea del Sud, Islanda e Cile, molte persone continuano a lavorare ancora per diversi anni rispetto al nostro Paese, alzando l’età effettiva in cui si va in pensione, che per i maschi arriva quasi o persino supera i 70 anni.
I giovani e il pensionamento in Italia
Nella fascia d’età fra i 19 e i 25 anni la disoccupazione raggiunge oltre il 26%, con forti differenze fra regione e regione: è quindi difficile parlare di previdenza complementare a cittadini con lavori saltuari o con retribuzioni mensili al di sotto dei 1000 euro, ma paradossalmente sono proprio queste categorie sociali a essere più a rischio di “scoperture” previdenziali. E anche per quei giovani che sono già nel mondo del lavoro, o che vi si affacceranno nel breve termine, 40 anni di contributi effettivi costituiranno un traguardo difficilmente raggiungibile. La previdenza complementare è adottata soltanto dal 5% della popolazione italiana, eppure ci sono almeno 22 milioni di lavoratori – tra cui molti giovani – interessati al problema.
L’invecchiamento della popolazione e i possibili effetti a lungo termine della pandemia potrebbero quindi colpire molto duramente le pensioni dei giovani. In primis, ritardandole ulteriormente. La crescita più significativa dell’età pensionabile in Europa, secondo le previsioni dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sarà proprio quella dell’Italia, pari a 9 anni di differenza – passando in media da 62 a 71 anni di età necessari per il pensionamento.
Ai più giovani è quindi importante insegnare che l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale consente di tutelarsi per tempo di fronte alle incertezze del futuro. Se da un lato c’è sete di informazioni in merito alla pensione integrativa, in riferimento ai costi, ai rischi, ai pagamenti e alle performance degli investimenti, dall’altro se si vuole evitare una forte contrapposizione generazionale è necessario intervenire con urgenza a livello politico – così come ha detto Nicolas Jeanmart, head of personal and general insurance di Insurance Europe: «Poiché una percentuale così preoccupante di persone non sta attualmente risparmiando abbastanza per la pensione, è urgente discutere in Europa e a livello nazionale il modo migliore per cambiare le cose».
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