La crisi di Tim rappresenta un capitolo significativo nella storia delle telecomunicazioni. Un tempo acclamata come una delle più importanti compagnie del settore a livello mondiale, oggi si trova di fronte alla necessità di cedere la sua rete per fronteggiare i debiti ventennali. Quali sono le cause di questa crisi? Quali implicazioni avrà? E cosa c’entra il governo italiano?

Dallo scorso giugno è in corso un importante negoziato tra il fondo statunitense KKR e la Tim, una delle principali società italiane di telecomunicazioni e in passato una delle più importanti al mondo, per vendere quello che è il suo bene più rilevante: la sua rete, cioè l’insieme delle strutture che permettono di comunicare al telefono e di accedere a Internet in Italia. Nello specifico, verranno acquistate tre società: NetCo, una nuova azienda in cui confluirà tutta l’infrastruttura di rete di Tim; FiberCop, che si occupa dello sviluppo e della posa dei collegamenti in fibra ottica, di cui Tim è la principale azionista e di cui KKR ha già il 37,5 per cento delle quote; e infine verrà ceduta una partecipazione a Sparkle, che gestisce infrastrutture di rete a livello internazionale.

Ma Tim com’è passata dall’essere una delle società tecnologiche più grandi al mondo a vedersi costretta a cedere tutta la sua infrastruttura di rete? Se lo è chiesto l’Economist, e i motivi hanno principalmente a che fare i conti dell’azienda, che nel corso del tempo ha accumulato miliardi di debiti. Facciamo un passo indietro: Tim è passata dall’essere un’azienda pubblica a privata nel 1997, a seguito di un’operazione del governo Prodi, che ha preso questa decisione sulla scia di una tendenza – presente anche all’estero – che vedeva sempre più privatizzazioni nel settore delle telecomunicazioni.

In quegli anni quella che oggi si chiama Tim era una compagnia di successo, valeva 90 miliardi di euro e aveva un debito trascurabile. Oltre ad avere più di 120mila dipendenti, deteneva partecipazioni in moltissimi gruppi tecnologici in tutto il mondo, a tal punto che, come ricorda Bloomberg, aveva persino provato ad acquisire la Apple – che a fine anni Novanta si stava pian piano affermando sul mercato. Nell’arco di poco più di due decenni, però,  Tim ha accumulato un debito superiore a 30 miliardi di euro (che l’ha fatta diventare la società europea di telecomunicazioni più indebitata), ha meno della metà dei dipendenti che aveva a fine anni Novanta e al di fuori del suo mercato nazionale oggi controlla una sola società.

Le ragioni per cui Tim è costretta a vendere la sua rete

Il primo e fondamentale motivo che ha portato Tim alla crisi di oggi è stata la fusione, nel 2003, con Olivetti; fu un’operazione finanziaria giudicata da molti controversa, mai vista in Italia e iniziata quattro anni prima, che semplificando molto fece ricadere i debiti accumulati dalla Olivetti sulla stessa Tim, che però non riuscì mai a sanarli.

Quelli, inoltre, erano anni in cui in tutto il settore europeo delle telecomunicazioni era in corso una trasformazione: alcune aziende, infatti, si misero insieme con l’obiettivo di creare gruppi societari più grandi, capaci di imporsi maggiormente sul mercato. Quella che oggi si chiama Tim, però, rimase indietro e non riuscì a tenere il passo dei nuovi gruppi, la cui concorrenza si faceva sentire sempre di più: il risultato fu che le vendite diminuirono progressivamente, e così anche gli introiti.

Una terza ragione della crisi Tim va ricercata nelle caratteristiche peculiari del mercato italiano delle telecomunicazioni. Qui la concorrenza è una delle più alte al mondo: basti pensare che gli abbonamenti mensili per i servizi di rete fissa costano solamente un quarto rispetto a quelli del mercato statunitense. L’arrivo di nuovi operatori, poi, come la francese Iliad, sbarcata in Italia nel 2018, non ha fatto altro che peggiorare la situazione, inasprendo la concorrenza.

 

Cosa c’entra il governo nella vendita della rete Tim

I cambiamenti del settore delle telecomunicazioni uniti alle condizioni di indebitamento in cui versa Tim hanno così costretto l’azienda a vendere la sua rete per rimettere in sesto i conti: una soluzione “difficile” ma considerata inevitabile per tornare ad avere spazio di manovra.

 

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