La Global minimum tax, la misura per combattere l’evasione fiscale che trova il favore di 131 Stati, sarà ridiscussa a Roma nel prossimo G20, ma ci sono già le prime perplessità: nonostante fosse tra i bersagli della tassazione da parte dell’Ocse, un colosso come Amazon potrebbe non esserne colpito

La Global minimum tax è un sistema di tassazione internazionale concordato lo scorso primo luglio in sede Ocse e approvato da 131 Paesi su 139. Sarà poi ratificata ad ottobre nel G20 di Roma e quindi, una volta approvata dai singoli Stati, dovrebbe entrare in vigore dal 2023.

L’intesa ha come obiettivo quello di non rendere conveniente alle multinazionali e ai colossi delle Big tech – tra tutti, Amazon – di stabilirsi in quelli che vengono definiti “paradisi fiscali”. In poche parole, questa dovrebbe servire a fermare l’evasione fiscale e limitare la concorrenza tra Stati.

Fino a ottobre saranno messi a punto i dettagli tecnici e, soprattutto, si cercherà di convincere i Paesi che ancora non hanno sottoscritto l’intesa, come l’Irlanda, l’Ungheria e l’Estonia, a firmare.

I due pilastri della Global minimum tax

Il sistema messo a punto si basa su due pilastri: la riallocazione dei profitti delle grandi multinazionali e una Global minimum corporate tax rate.

La riallocazione dei profitti riguarderà solo le multinazionali – circa un centinaio – che hanno margini di profitto superiori al 10%. Per loro, il prelievo scatterà se la multinazionale realizza almeno un milione di ricavi nel Paese, soglia che scende a 250mila euro per i Paesi con Pil inferiore a 40 miliardi. In questo modo, secondo le valutazioni dell’Ocse, la riallocazione dei profitti potrebbe consentire di sottoporre a tassazione complessivamente circa 100 miliardi di dollari di profitto che ogni anno sfuggono al fisco.

Il secondo pilastro della riforma, la Global minimum corporate tax rate, interesserà invece la gran parte delle multinazionali, quelle con un fatturato annuo di almeno 750 milioni. Ad esse si applicherebbe una aliquota minima di almeno il 15% in ogni Paese dove operano, indipendentemente da dove si trovi la sede legale e bypassando i meccanismi attraverso i quali attualmente vengono eluse le tasse. L’Ocse stima che con l’aggiunta della Global minimum tax si potrebbe ottenere un gettito aggiuntivo annuo pari a 150 miliardi di dollari, anche se molto dipenderà da come verrà definita la base imponibile.

Quanto pesa questa tassa sulle Big tech come Amazon

La Global minimum tax andrebbe a gravare soprattutto sulle Big tech. Il gettito stimato dall’Ocse è di 87 miliardi di dollari complessivi, quasi il 45% di questo totale – cioè 39 miliardi di dollari – dovrebbe essere versato da aziende come Amazon, Apple, Microsoft, Alphabet, Intel o Facebook che da sole dovrebbero pagare circa 28 miliardi di dollari.

Per questo motivo, quando la global tax entrerà in vigore, Washington – in accordo con la Commissione europea – ha chiesto di abolire le web tax approvate nel corso degli anni dai vari Paesi.

Fino ad ora tutto bene, ma c’è un problema: Amazon potrebbe avere già la soluzione per aggirare la tassa sulle multinazionali.

L’Ocse potrebbe non riuscire a tassare Amazon

Sappiamo che il business model di Amazon è diverso da tutte le altre aziende e si basa su un’unica regola: niente profitti, niente problemi. Infatti, nonostante l’azienda tecnologica americana abbia chiuso il 2020 con oltre 13,5 miliardi di dollari di profitti operativi annui, tutto quello che viene guadagnato viene reinvestito per moltiplicare i magazzini, i punti di raccolta, per espandere ancora di più il suo raggio di azione e quindi le quote di mercato.

Di conseguenza, se il primo pilastro si applica solo a società con margini di profitto superiori al 10%, Amazon non rientrerebbe in questi parametri, dal momento che l’anno scorso l’azienda ha registrato un margine di profitto complessivo del 6,3%.

L’Ocse stessa, preoccupata di non poter includere il colosso fondato da Jeff Bezos nella normativa del primo pilastro, ha proposto di considerare singolarmente le varie attività delle aziende. In questo modo sarebbe in grado di tenere conto delle diverse attività e differenziarle sulla base della loro redditività. Ma si tratta di un’operazione piuttosto complicata da mettere in pratica. Intanto, il prossimo tavolo di discussione si terrà ad ottobre nel G20 di Roma.