La nave Ever Given ha intasato dal 23 al 29 marzo lo stretto che collega Mar Rosso e Mar Mediterraneo e poi è stata sbloccata. Il battello è solo uno degli ultimi giganti del mare: sono sempre più grandi, infatti, le portacontainer e lo scopo è quello di lavorare sulla competitività e sulle economie di scala. Grazie a queste innovazioni il commercio navale mondiale ne è uscito rafforzato, ma le infrastrutture restano da adeguare. 

Era il Sole 24 Ore nel 2019 a scrivere: “Negli ultimi anni, per alcune categorie di navi, in particolare le portacontainer e le navi da crociera, gli armatori hanno imboccato la via del gigantismo”. Ed è stata proprio una di queste maxi navi da container, chiamata Ever Given, a bloccare dal 23 al 29 marzo 2021 la via del Canale di Suez: un braccio di mare importantissimo che da solo vede passare davanti ogni anno il 7% del traffico mercantile globale e il 12% del totale delle merci, con carichi di diverso genere.

Per disincagliarla sono stati necessari diversi rimorchiatori navali e l’attesa di favorevoli condizioni di marea. Da molti anni – e ciò ha rappresentato una rivoluzione per il settore della logistica – la capacità di carico di navi e battelli commerciali si calcola in TEU, ovvero unità equivalente a venti piedi. Si tratta della misura del container di carico standard, quello che vediamo spesso circolare sulle nostre strade e autostrade attaccato ai grandi autorimorchio.

La Ever Given, dell’armatore Evergreen e di proprietà dei giapponesi Imabari – Shoei Kisen Kaisha, ha una capacità di carico da 20124 TEU ed è di certo fra le navi da carico più grandi del mondo. La lista viene dominata dalla MSC Gülsün, della flotta MSC, società italo-svizzera leader nel trasporto navale e ben nota per la sua divisione crociere. Quest’ultimo battello porta quasi 24mila TEU e non è che un riflesso dell’ampia rivoluzione navale che da qualche anno è in atto.

I grandi player del traffico merci su mare

La parola chiave è semplice: economie di scala. I processi di concentrazione fra produttori e operatori navali hanno portato, negli anni, ad uno scenario di mercato che vede tre-quattro grandi player spartirsi il mercato del traffico merci con la conseguente corsa alla costruzione di navi sempre più capaci, natanti sempre più giganti, che fra l’altro consumano tantissimo. Come per gli aeroplani, è difficile elettrificare le navi, e questo ha consentito al settore del commercio su mare di essere esentato dal sistema delle quote per l’abbattimento della CO2.

Una delle necessità più spiccate del gigantismo delle navi è l’indifferibile processo di adeguamento dei porti: per accogliere questi bestioni con portata superiore alle 10mila TEU servono nuovi equipaggiamenti, mezzi di lavorazione differenti, gru di banchina capaci di azioni su impianti a 23 file di contenitori e la possibilità di lavorare su più battelli in simultanea per garantire un pronto smaltimento del carico/scarico in parallelo.

Gli impatti del gigantismo navale

Non tutti però sono convinti che questa del gigantismo navale sia la strada giusta, fra cui i lavoratori delle banchine e dei terminal italiani. Come ha dichiarato a Genova24 Luca Becce, presidente di AssoTerminal, questa tendenza “sta creando più problemi che utilità, si potrebbe decidere di non fare più navi di queste dimensioni, serve una riflessione su questo tema”.

Questo assetto – ha continuato Becce – “ha generato una contrazione del mercato del trade e del trasporto che da 18 operatori è passato a 3 alleanze in 10 anni – situazione provocata da un eccesso di stiva che ha fatto precipitare i costi dei noli, mettendo in ginocchio gli armatori medio piccoli obbligando inoltre stati e terminalisti a fare investimenti per ‘migliaia di miliardi’ per adeguare le infrastrutture a questi nuovi giganti del mare. E tutto questo per favorire una monopolizzazione del mercato e maggiori criticità e vulnerabilità? Quando una nave come questa ha un problema, il problema stesso è gigante e può generarsi spesso la situazione vista a Suez”.

 

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