Vladimir Putin aveva annunciato che la Russia chiederà che il pagamento delle sue materie prime avvenga in rubli. La mossa del Cremlino, volta a neutralizzare le sanzioni, è stata molto discussa, ma potrebbe rivelarsi più che altro simbolica

Mentre si susseguono le drammatiche notizie sull’invasione dell’Ucraina e le conte di vittime civili, in Europa ci si interroga sulle conseguenze dell’annuncio del Cremlino di pretendere che il pagamento del gas avvenga in rubli. L’annuncio era arrivato il 23 marzo dallo stesso Vladimir Putin: “Ho preso la decisione di attuare una serie di misure per passare al pagamento in rubli per il nostro gas consegnato a Paesi ostili, e di rinunciare a tutte le valute che sono state compromesse”, ha detto il presidente russo, aggiungendo inoltre che alle autorità russe sarebbe stata concessa una settimana di tempo per effettuare il passaggio al nuovo sistema in valuta locale. Alcuni commentatori hanno accolto con preoccupazione questa “contromossa” di Mosca, in risposta alle sanzioni economiche occidentali; altri l’hanno ritenuta una mossa simbolica di scarso impatto effettivo. Peraltro bisogna sottolineare che l’annuncio è arrivato in un contesto di forte indebolimento del rublo successivamente alla guerra. Ma quali sono davvero le cause e i più probabili effetti di questa operazione?

Gli obiettivi del Cremlino

Ricordiamo che contro la Russia erano stati predisposti in sostanza due tipi di sanzioni: il blocco delle riserve della banca centrale e l’esclusione dallo Swift (il sistema che permette i pagamenti internazionali tra banche). Il valore del rublo era crollato fino ad arrivare a un tasso di cambio dollaro/rublo di 140, a fronte degli 83 di oggi, più vicini ai livelli pre-invasione (75). Il principale obiettivo di Putin era quello di creare domanda di rubli proprio per cercare un rafforzamento della moneta russa fortemente in crisi in quei giorni. I Paesi europei che continuano ad avere bisogno delle forniture energetiche (perché ricordiamo che si tratta di un problema principalmente europeo) da parte della Russia dovranno infatti cambiare euro in rubli per effettuare i pagamenti del gas richiesti da Mosca. In tal modo gli europei sarebbero forzati ad avere a che fare con la banca centrale russa, attenuando o addirittura annullando (secondo le prospettive più ottimiste per Putin) gli effetti delle sanzioni.

Esiste poi un altro obiettivo, connesso ma distinto. Accettando solo i pagamenti in rubli, la Federazione russa mira a tenere alto il prezzo delle materie prime, conservando in qualche modo il controllo delle forniture. In questo senso va ricordato il commento del Presidente del Consiglio Mario Draghi, che in un passaggio delle comunicazioni in aula al Senato appena prima di uno specifico vertice dell’Unione Europea, aveva dichiarato: “Il prezzo spot del gas, e questa purtroppo è una notizia vecchia, sul mercato europeo oggi è dimezzato rispetto alle punte di circa 200euro/mwh raggiunte l’8 marzo. Dico che (la notizia) è vecchia perché è appena uscita la notizia della richiesta di effettuare pagamenti in rubli invece che in dollari o in euro, che ha portato il prezzo del gas a salire di circa 15 euro per Megawattora”.

Una mossa per lo più simbolica?

Non bisogna tuttavia cadere in conclusioni precipitose. Col passare delle settimane i proclami del Cremlino assumono contorni più precisi e la decisione acquista, alla prova dei fatti, un valore più simbolico che sostanziale. Ad oggi, dovrebbe trattarsi di continuare a pagare in Euro le forniture di gas mentre nello stesso tempo la Gazprombank (banca privata interamente controllata da Gazprom con cui avvengono le transazioni per il gas) convertirebbe gli euro in rubli. I Paesi occidentali in realtà continuerebbero a pagare con la loro valuta “forte”, mentre la conversione in rubli avverrebbe immediatamente anziché in un momento successivo da parte della banca centrale russa. Da questo punto di vista non solo per i Paesi europei non cambierebbe nulla, ma cambierebbe ben poco anche per lo stesso rublo.

I vincoli contrattuali (e di realtà) con i Paesi europei

Bisogna infatti tener presente che queste manovre arrivano nella cornice di precisi termini contrattuali. In questo senso la risposta delle istituzioni europee è stata immediata: “Non accetteremo in alcun modo di pagare il gas in altre valute rispetto a quelle già sancite dai contratti”, avevano dichiarato i ministri delle Finanze francese Bruno Le Maire e tedesco Robert Habeck. Il Commissario europeo per gli affari economici Paolo Gentiloni aveva a sua volta replicato che l’Europa non si sarebbe fatta ricattare da Mosca. Come è ovvio in qualsiasi contesto, le condizioni contrattuali non possono essere modificate unilateralmente.

Ma c’è poi un imprescindibile dato di realtà: il tasso di cambio è semplicemente quell’indice con cui comparare i prezzi di un Paese con quelli di un altro. Se anche un Paese bloccasse artificialmente il tasso di cambio con un altro, poi dovrebbe tenere il livello dei propri prezzi (ovvero il tasso di aumento dei prezzi medi ovvero il tasso di inflazione) in linea con quello del Paese con cui ha bloccato il tasso di cambio. Se i prezzi interni russi continuano a salire (con una Russia già colpita da una forte inflazione), ma il tasso di cambio non si svaluta di conseguenza, i beni prodotti dalla Russia diventano giorno dopo giorno sempre più cari nei confronti di tutti i Paesi che hanno un tasso di inflazione inferiore a quello russo. E questo varrebbe nel lungo periodo anche e proprio per le materie prime su cui l’economia russa si basa, che diventerebbero troppo care (e quindi per nulla competitive) rispetto a quelle estratte da altri Paesi. Insomma, la mossa sarebbe comunque un enorme boomerang nel lungo periodo.

Intanto qualcuno parla di embargo sul gas

Sull’onda delle orripilanti scene del massacro di civili di Bucha, comincia a farsi strada e rafforzarsi nel dibattito pubblico europeo l’idea di un embargo energetico contro Mosca. Il Segretario del Partito Democratico Enrico Letta ha lanciato un tweet che ha riscosso molto seguito nella giornata del 3 aprile: “How many #Bucha before we move to a full oil and gas Russia embargo? Time is over”. Subito sono arrivate reazioni da fonti tedesche (il Paese più esposto insieme all’italia) che invitavano alla prudenza: “L’embargo sul gas russo avrebbe conseguenze economiche per la Germania, bisogna agire con prudenza. Ulteriori sanzioni contro la Russia saranno accordate nei prossimi giorni”, ha prontamente dichiarato il portavoce del ministero dell’Economia di Berlino. L’impressione insomma è che si tratti per ora di un’intenzione di alcuni più che di una proposta concreta, in attesa di piani di fattibilità. Certo meritano più di una riflessione le parole di Jean Pisani-Ferry: “I leader Ue dovrebbero chiarire al pubblico che non possiamo sconfiggere un avversario pronto a sopportare un -20% del Pil se gli europei non sono disposti a rischiare un -2%”. Da ultimo, bisogna ricordare che l’esportazione del gas vale da sola ben 350 milioni di dollari di incassi al giorno per la Russia, che si troverà in ogni caso ad affrontare una grave crisi economica. Insomma: se di coltello si tratta, il manico non lo ha nemmeno la Russia.

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