La “finanza etica” è sotto attacco: negli Stati Uniti i conservatori finanziano gruppi di influenza e lobby con l’obiettivo dichiarato di boicottare gli investimenti ESG (Environmental, Society, Government) che premiano le aziende attente alla sostenibilità ambientale, ai diritti umani e al benessere dei lavoratori. E questa guerra spregiudicata in nome del profitto a tutti i costi si sta diffondendo anche in Italia.

Il Partito Repubblicano degli Stati Uniti ha annunciato di voler creare un gruppo di lavoro in seno alla Commissione per i servizi finanziari – ossia l’organo di controllo delle maggiori istituzioni finanziarie del paese – per contrastare attivamente gli investimenti ESG (Environmental, Social and Governance) che rientrano nella cosiddetta “finanza etica”.

Si tratta di un’azione fortemente aggressiva, che può contare sull’appoggio della potente lobby dell’associazione consumatori e risparmiatori, la Consumer’s Research, che ha uno stile comunicativo che non si fa scrupoli nell’utilizzare il dileggio e persino l’insulto per demolire i propri avversari: lo dimostra il sito whoislarryfink.com, pagina creata dall’associazione allo scopo di attaccare frontalmente Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, la più grande società di investimento al mondo, e sostenitore degli investimenti ESG.

Cos’è la finanza etica? 

Per capire le ragioni di questo accanimento, serve chiarire cosa si intende con “finanza etica”: si tratta di un orientamento agli affari che non guarda esclusivamente al profitto economico ma alla sostenibilità ambientale (Environmental), al rispetto dei diritti umani (Social) e al modo in cui sono trattati i dipendenti delle imprese in cui si decide di investire (Governance).

I criteri ESG negli ultimi anni hanno preso molto piede a causa di un’accresciuta consapevolezza delle persone su questi temi, che per le aziende hanno acquisito un maggiore valore economico. Il già citato Larry Fink ha esplicitamente dichiarato che, secondo lui, «il rischio climatico è un rischio di investimento». Ma questa visione è osteggiata dalla destra più reazionaria, che vede le politiche progressiste a sostegno degli investimenti ESG come “limitanti”: ne è un esempio l’obbligo per le imprese, voluto dall’amministrazione Biden, di rendere trasparenti i propri valori relativi a questi parametri. Per i Repubblicani si tratta di politiche “woke”, parola che denigra i movimenti progressisti considerati troppo intransigenti e politicamente corretti.

L’insofferenza verso questi temi, seppur in misura minore, è presente anche in Italia: come hanno denunciato su Twitter le organizzazioni ReCommon, ISDE Italia, Greenpeace Italia, The Good Lobby e Fondazione Finanza Etica, il governo di Giorgia Meloni ha permesso alle principali società italiane di tenere per il quarto anno consecutivo le loro assemblee degli azionisti a porte chiuse, giustificando la decisione con la volontà di limitare i rischi legati alla pandemia. Cosa che, come le organizzazioni fanno notare, somiglia più ad una scusa, dato che lo stato di emergenza è terminato in Italia quasi un anno fa, il 31 marzo 2022, e non c’è più da tempo alcun obbligo di restrizioni o di mascherine. La scelta del governo, ribadiscono le cinque organizzazioni, sembra più mirata a voler escludere il confronto sui temi ESG.

 

Finanza etica tra luci e ombre 

L’accanimento di una certa area di destra contro la finanza etica appare fortemente ideologico, sebbene si tenti di ammantare queste campagne denigratorie di ragioni puramente economiche e “di buon senso”. La reale motivazione sembra essere un “istinto di conservazione” del sistema capitalista, che rigetta fortemente la prospettiva di smettere di accumulare capitale nel breve periodo in nome di una visione più lungimirante che abbia coscienza delle conseguenze ambientali e sociali dei nostri comportamenti, che ricadranno sulle spalle delle generazioni future.

Bisogna anche dire che la finanza etica è oggetto di numerose polemiche anche da area progressista, perché i criteri ESG non sono affatto stringenti e in molte occasioni appaiono abbastanza vaghi, tanto da farvi rientrare anche aziende a forte impatto inquinante come le compagnie petrolifere. Questo accade per diverse ragioni: innanzitutto, i criteri ESG non sono vincolati l’uno all’altro e questo significa che un’azienda con una governance valutata positivamente non è necessariamente sostenibile anche a livello ambientale. Addirittura nel 2021 l’Economist stimò che ognuno dei 20 più importanti fondi d’investimento ESG al mondo comprendeva almeno 17 società petrolifere.

Un altro problema è che le aziende, per attrarre i finanziamenti, sempre più sostanziosi, potrebbero cadere nella tentazione di “gonfiare” i loro parametri ESG e di fare, in sostanza, greenwashing. L’Unione Europea ha tentato di aggiustare e rendere più stringenti i parametri nell’ambito del Green New Deal e ha incontrato la dura opposizione sia della compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil sia di molti Stati membri, soprattutto dell’area del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), che fanno ancora affidamento sul carbone e sono meno disposti di altri a impegnarsi per ridurre le emissioni.

 

Una guerra ideologica

Ma la guerra che la destra reazionaria sta muovendo alla finanza etica, come già detto, è di natura più ideologica che economica: rientra in una strategia più estesa e complessa delle destre di orientamento più estremo, allergiche da sempre a una società che dia priorità alla sostenibilità e ai diritti civili e umani a scapito dell’accumulo di capitale. L’area più conservatrice del partito Repubblicano post Trump si sta stringendo intorno alla figura di Ron DeSantis, governatore della Florida e uno dei più accaniti oppositori degli investimenti nella finanza etica, che ha definito senza giri di parole “capitali woke”. DeSantis, che molti indicano come possibile candidato dei Repubblicani contro Joe Biden, ha posizioni intransigenti anche su altri temi “etici”, come i diritti civili e ambientali:  è un convinto negazionista del cambiamento climatico e nel 2021 ha firmato una legge che ha messo al bando la possibilità presso le stazioni di servizio di rifornire le macchine elettriche, e un’altra proibisce a tutte le gestioni locali all’interno dello Stato di porre qualunque tipo di restrizione al risparmio di energia elettrica o carbon fossile; ha posizioni reazionarie anche su temi LGBTQ, aborto, istruzione gratuita, divieto di armi da fuoco e sanità pubblica.

 

La finanza etica “nemica” del profitto 

Queste posizioni, talmente polarizzate da risultare quasi antistoriche, scaturiscono dalla volontà di soffocare qualunque tentativo di accostare l’etica al sistema capitalista: il centro economico di una società, per chi condivide il pensiero di DeSantis, è e deve rimanere il capitale accumulato. In altre parole, con l’etica non si mangia, né si fa mangiare. Il vantaggio per questi conservatori è che i risultati di una politica economica non delimitata da paletti etici sono visibili in poco tempo, com’è naturale che sia: gli investimenti, anche quelli più spregiudicati, generano profitto e introiti, nonché posti di lavoro. Il problema, come sempre, è nel lungo periodo: le conseguenze delle attività inquinanti – sebbene siano sempre più sotto gli occhi di tutti – si manifesteranno in tutta la loro gravità solo in futuro, un tempo indefinito cui, spesso per semplicità, tendiamo a non pensare.

La metafora cinematografica più calzante è quella del film Don’t Look Up: un meteorite sta per schiantarsi sulla Terra ma il governo degli Stati Uniti, nonostante il rischio di distruzione del pianeta, ha intenzione di tentare di estrarre i materiali preziosi di cui è composto, silenziando la comunità scientifica che ha lanciato l’allarme screditandoli e mettendoli in ridicolo. Si invita la popolazione a non guardare verso l’alto, a non pensarci, a fare finta di niente. Finché, inevitabilmente, qualcuno non si accorge che quello che sembrava un puntino nel cielo, è diventato è la fine del mondo.

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