C’è un settore del made in Italy che sembra al riparo dalla tempesta Covid-19 ed è quello dell’export per quanto riguarda l’agroalimentare: secondo quanto rilevato da Nomisma, società di consulenza sui temi dell’economia reale, anche nei primi mesi del 2020 le vendite del cibo italiano fuori dai confini sono infatti cresciute del 3,5%. Un dato che testimonia un andamento di questo tipo di mercato decisamente in controtendenza rispetto, ad esempio, a quello del settore manifatturiero italiano, che da gennaio a luglio scorsi ha perso il 16,4%.
La pandemia, purtroppo, è però arrivata in un momento in cui l’agroalimentare italiano stava facendo dei veri e propri passi da gigante in termini di crescita: negli ultimi dieci anni l’export ha visto un aumento dell’89% e quest’anno avrebbe potuto raggiungere l’ambizioso obiettivo dei 50 miliardi di vendite. E, nonostante la battuta d’arresto dovuta al Coronavirus, la posizione del nostro Paese nella classifica mondiale dell’export di food&beverage è ancora oggi di tutto rispetto: l’industria alimentare italiana, infatti, come sottolineato da Il Sole 24 Ore, è al quinto posto per l’esportazione di questa tipologia di prodotti dopo Usa, Germania, Paesi Bassi e Francia.
Quali sono i prodotti alimentari italiani più esportati?
Quali sono le eccellenze del food&beverage made in Italy più esportate all’estero? Innanzitutto le conserve di pomodoro, dato che ben il 43% di quelle esportate sono italiane, poi la pasta (30%), l’olio di oliva (21%), il vino (20%), i salumi (14%) e i formaggi (11%).
Nell’ultimo periodo, però, se il vino ha visto calare le “dimensioni economiche” del suo export (-4%), le vendite di pasta made in Italy sono invece aumentate di ben il 25%. Quest’anno, comunque, ci si attende che i trend diventino negativi per quanto riguarda l’export italiano – sia per via della crisi economica conseguente al Covid-19 sia per le diverse incertezze e opacità dovute alla Brexit e alla mancanza ancora di accordi e alla guerra dei dazi tra Stati Uniti e Unione europea. Ed è proprio per questo motivo che il governo italiano ha deciso di correre in supporto del settore, predisponendo degli strumenti che aiutino i produttori dei beni made in Italy ad essere sempre presenti sui mercati internazionali: come Fiera 365, una piattaforma digitale dove è possibile presentare il proprio prodotto all’estero, o attraverso la creazione di “corridoi” per i buyer che permettano loro di arrivare in Italia e andar via senza dover per forza sottostare ad un regime di quarantena.
L’obiettivo dei 50 miliardi di vendite per quanto riguarda l’export, quindi, potrebbe essere solo rimandato: ad oggi, d’altronde, l’agroalimentare vale 41 miliardi di euro e, secondo una ricerca recente citata dal Corriere della Sera, quando nel 2050 la popolazione mondiale passerà dagli attuali 7 miliardi agli 8-10 miliardi 1 consumatore su 10 nel mondo sceglierà il cibo italiano. La vera sfida quindi, visto che si tratta di un settore con ottime prospettive di crescita nel futuro Covid o non Covid, si giocherà sul terreno della sostenibilità: sarà questa, domani più di oggi, a guidare le scelte dei consumatori e di conseguenza dei mercati, anche se attualmente le pmi italiane ancora stentano ad investire nel green. Più che altro le aziende non riescono a vedere nella sostenibilità una grande prospettiva di crescita e al momento le iniziative e gli investimenti in tal senso si fermano alle campagne di comunicazione attraverso le quali le imprese mostrano al pubblico il loro impegno in questa direzione.