Un’abitudine diffusa tra i partiti è la promessa di finanziare le loro misure con i proventi derivanti dalla lotta all’evasione. Questa pratica dimostra la volontà del singolo schieramento di ridurre l’evasione fiscale – cosa che ottiene sempre un generico consenso. Ma la questione è più complessa di così
Nella pratica l’idea di finanziare importanti riforme con la lotta all’evasione fiscale è più complessa, principalmente per quattro ordini di ragioni. Innanzitutto i risultati delle attività di controllo e accertamento sui redditi non sono facilmente prevedibili: è difficile pensare di poter fare affidamento su precise risorse economiche quando è possibile quantificarle solo a posteriori. Poi, sebbene ogni anno si recuperi qualcosa in più, i fondi provenienti dalla lotta all’evasione non aumentano così tanto da un anno all’altro, e non sono nemmeno tali da riuscire a finanziare misure in entrata molto costose. Inoltre, più si riduce il tax gap più è difficile ridurlo ulteriormente, perché si tratta di adottare strumenti più sofisticati, che daranno risultati solo marginalmente migliori e in là nel tempo. Infine, anche se lo Stato riuscisse a incassare l’ammontare completo delle tasse che gli spettano, la cifra raggiunta non basterebbe comunque a coprire il budget di tutte le riforme promesse.
La Lega ad esempio da sempre sostiene che per finanziare la sua flat tax, ossia un’aliquota IRPEF unica al 15 per cento, si potrebbero usare le risorse raccolte dalla lotta all’evasione fiscale. Le stime dicono che per come è disegnata, a pieno regime la riforma verrebbe a costare circa 58 miliardi. L’IRPEF è l’imposta più evasa in Italia: allo stato manca il 69 per cento di quella dovuta dagli autonomi e dalle imprese; nonostante questo, l’evasione dell’IRPEF vale “solo” 32 miliardi – quindi anche in questo caso non si riuscirebbe a finanziare la misura, nemmeno raccogliendo tutta l’imposta non pagata.
A quanto ammonta l’evasione fiscale in Italia
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha posto obiettivi ambiziosi di riduzione dell’evasione fiscale. Rispetto ai livelli del 2019 la propensione all’evasione dovrà ridursi del 5 per cento entro il 2023 e del 15 per cento entro il 2024: significa che nel giro di due anni lo Stato dovrà fare in modo che le tasse evase si riducano di 12 miliardi. Si tratta di una manovra ambiziosa, in particolare se si tiene conto che l’evasione fiscale si è ridotta all’incirca della stessa cifra tra il 2014 e il 2019: nei prossimi due anni si dovrà quindi ottenere lo stesso risultato raggiunto in cinque. Bisogna poi tenere a mente che in questo periodo sono stati introdotti due strumenti che hanno funzionato molto bene per ridurre l’evasione, vale a dire lo split payment (un regime destinato ai fornitori della pubblica amministrazione per stabilire la liquidazione e il versamento dell’Iva) e la fatturazione elettronica.
Di recente è stato reso pubblico anche il consueto Rapporto annuale sull’economia sommersa e l’evasione fiscale, che mostra nel dettaglio quanti sono i miliardi ancora sottratti illegalmente dalle casse dello Stato. Come era stato già anticipato in un aggiornamento a inizio anno, nel 2019 per la prima volta l’evasione di imposte e contributi era scesa sotto la soglia dei 100 miliardi di euro annui.
Cosa determina una riduzione dell’evasione fiscale
Il totale evaso è in riduzione da anni: ma cos’è che favorisce questa diminuzione? Un ruolo forte sembra averlo la digitalizzazione dei processi per la riscossione delle imposte; anche l’andamento dell’economia incide sul livello di evasione fiscale: un aumento del PIL, ad esempio, tende a ridurre il tax gap, mentre un’alta disoccupazione tende ad aumentarlo.
Ma ci sono anche alcune variabili strutturali che lo influenzano: la dimensione delle imprese ha un forte impatto sul livello di evasione – più sono grandi, minore è la percentuale di evasione dell’IVA. Inoltre, una maggiore quota di transazioni elettroniche causa una riduzione dell’evasione, mentre ne provoca un aumento una maggiore dimensione dell’economia sommersa.
Le misure del governo per diminuire l’evasione fiscale
Sono due le decisioni del governo di Giorgia Meloni in fase di valutazione che potranno avere un impatto sui numeri dell’evasione, anche se entrambi non rientrano tra gli strumenti classici della lotta all’evasione fiscale. Il primo riguarda l’aumento del tetto all’uso del denaro contante, mentre il secondo l’aumento della soglia di reddito per il trattamento fiscale di favore per le partite IVA (una sorta di flat tax).
Per quanto riguarda il contante, il governo dovrebbe introdurre già nella prossima legge di bilancio l’aumento del tetto al suo uso a 5 mila euro, modificando così la misura che a inizio 2023 avrebbe dovuto portarlo a mille euro (a oggi si ferma a 2 mila). La misura rende la legge più permissiva verso le transazioni non tracciabili, quelle che cioè possono avvenire all’oscuro del fisco; perciò non si può dire con certezza che l’intervento va nella direzione di contrastare l’evasione, anche se la maggioranza lo sostiene. Lo stesso vale per la cosiddetta flat tax per le partite IVA: al momento un’aliquota del 15 per cento è riservata solo ai redditi dei lavoratori autonomi fino a 65 mila euro, ma il governo pensa di ampliare la platea portando il limite a 85 mila euro. Secondo alcuni studi dell’Agenzia delle Entrate, alzare la soglia per questo trattamento rischierebbe di ampliare la platea di potenziali evasori, che ometterebbero qualche fattura per rientrare all’interno della misura.
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