Presentata la relazione 2020 sulla qualità dei servizi pubblici al Parlamento del Consiglio Nazionale per l’Economia e per il Lavoro, importante ente consultivo dello Stato: le conseguenze della pandemia al centro del rapporto. I servizi sanitari e quelli sociali sono andati sotto pressione, mostrando inefficienze e problemi e aumentando le disuguaglianze tra Nord e Sud sulla speranza di vita. Servono più assunzioni in sanità e un ripensamento del welfare italiano, spiega il report.
Il sistema delle pubbliche amministrazioni è fragile e compromesso e ciò diventa causa di importanti dinamiche di squilibrio economico e sociale nel nostro paese. Ecco, in sintesi, il contenuto della relazione 2020 che il CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro – presenta annualmente “al Governo e al Parlamento” e che è stata riportata martedì 30 marzo dal presidente, il professor Tiziano Treu. Quello italiano è uno scenario, spiega il Cnel, ulteriormente complicato dal fenomeno pandemico Covid19, che sta fiaccando l’economia, la pubblica amministrazione e la cittadinanza.
Cala la speranza di vita al Sud
L’aumento della povertà e il peggioramento delle condizioni di vita degli italiani, certificato di recente dall’Istat, ma anche la bassa crescita dell’economia, sono connesse ai livelli e alla qualità dei servizi pubblici a cittadini e imprese e dipendono dai mancati investimenti dell’ultimo ventennio nei servizi sociali e nella sanità, innanzitutto, nella scuola e università, nelle infrastrutture e nella digitalizzazione e informatizzazione, dalla mancanza di una visione a lungo termine e la conseguente programmazione soprattutto da parte dei Ministeri di riferimento.
Vero che nell’anno della pandemia è stato il personale sanitario, che generalmente ha un rapporto di pubblico impiego, a sostenere il colpo più duro; d’altro canto, è evidente che lo stress epidemico abbia messo in luce inefficienze, diseguaglianze e criticità nel fragile tessuto del sistema paese. Questo ha delle conseguenze evidenti, fra cui una spicca sulle altre.
Gli italiani più ricchi delle regioni del Nord, infatti, possono sperare di vivere ben dieci anni in più degli italiani più poveri delle regioni del Sud, spiega il Consiglio:
“Il risultato più drammatico del Covid è l’accentuazione del divario Nord-Sud nella speranza di vita che, mentre a livello nazionale continua ad essere la seconda più alta d’Europa, presenta difformità significative tra le città di Milano e Napoli fino a 3 anni che aumentano a 10 se si considerano le fasce sociali più povere del Mezzogiorno e quelle più ricche dell’Italia settentrionale. Una tendenza che la pandemia ha solo accelerato.”
A fare le spese della pandemia, inoltre, sono i pazienti che avevano patologie pregresse diverse dal Coronavirus che, a causa della saturazione degli ospedali per i pazienti Covid-positivi, hanno dovuto rimandare visite e controlli.
Ciò dipende, sì, dall’emergenza che viviamo, ma anche dalla mancanza di personale sanitario. “Questo è il risultato del cronico sotto-dimensionamento degli organici”, spiega infatti il Consiglio, “rispetto alla dinamica della domanda di prestazioni, in particolare per quanto riguarda le professioni sanitarie non mediche, di cui soffre il Servizio sanitario da almeno 12 anni”.
La riforma del servizio sociale
Il Coronavirus ha messo a dura prova, mostrandone limiti e vulnerabilità, anche il sistema del servizio sociale italiano: il reticolo di assistenza gestito dalle pubbliche amministrazioni non si è dimostrato sufficiente ad accogliere la grande domanda. Comuni ed enti locali sono in decisa difficoltà.
L’Italia ha potuto reggere solo, è ancora il CNEL a dirlo, “grazie ad un intervento senza precedenti del privato sociale, attraverso il lavoro silenzioso di migliaia di organizzazioni di volontariato e milioni di volontari (…) solo quando è emersa con chiarezza la natura non solo sanitaria, ma anche sociale delle conseguenze della crisi, vi è stata una generalizzata attivazione, un potenziamento ed una riprogrammazione dell’offerta”.
Questo mostra però come il sistema del Terzo Settore e quello del Volontariato siano ancora “figli di un dio minore” rispetto ai fratelli maggiori del sistema previdenziale e di quello sanitario.
Per questo è necessario cambiare completamente paradigma, passando dalla concezione di “welfare state” a quella di “welfare society”, con un diverso ruolo promotore per lo Stato e per gli enti pubblici:
“L’intervento dello Stato si deve manifestare non solo nel ripristinare un welfare diffuso, che miri al diritto all’esistenza, alla salvaguardia di ogni forma di vita, per ogni componente delle nostre società e dei territori, proteggendo soprattutto i più deboli, che sono enormemente colpiti in questa tragica situazione, ma anche nell’indirizzo della produzione, nell’organizzazione dei mercati e nell’orientamento delle imprese e delle istituzioni attraverso una politica industriale e del lavoro, nel gestire le emergenze climatiche e sviluppare una politica ambientale a tutto campo al fine di ridurre la pressione antropica sull’ambiente.”