Sono ben 20 le tipologie di divario che rendono l’Italia ancora un Paese diviso a metà, “spaccato” da importanti asimmetrie economiche e sociali tra Nord e Sud. I fondi in arrivo dall’Ue con il Recovery Plan rappresentano un’occasione importante, quasi irripetibile, per colmare i diversi gap
“Le asimmetrie che dividono il Paese sono settoriali, sociali e tra città e aree interne. Servono target territoriali da raggiungere”. Scrive così il Sole 24 Ore in una lunga analisi che ha l’obiettivo di individuare ed evidenziare tutti quei divari che rendono l’Italia, ancora oggi, un Paese “a due velocità”, con ampie differenze, a livello di crescita e sviluppo, che continuano ad esserci tra il Nord e il Sud della Penisola. Differenze che il Piano nazionale di ripresa e resilienza – il noto Pnrr che contiene i fondi europei per la ripartenza post-pandemia – intende superare, tentando di risolvere quelle problematiche ormai cristallizzate da anni.
Si tratta di squilibri e gap che riguardano il lavoro (quello femminile in particolare), i servizi, la vivacità del tessuto produttivo e imprenditoriale, la ricchezza dei territori, le proposte in materia di welfare o di innovazione digitale, e che la pandemia non ha fatto altro che approfondire; o che, comunque, in questo periodo non si sono assottigliati. È quanto emerge da una approfondita raccolta di dati condotta dal quotidiano economico-finanziario e dall’istituto Tagliacarne, dalla quale è evidente il ritardo del Mezzogiorno rispetto all’altra metà del Paese. In un grafico sono stati riportati e descritti ben 20 divari – economici e sociali – che tengono Nord e Sud ancora molto a distanza:

Ad esempio, per quanto riguarda il gender gap sul lavoro, risulta che “solo tre donne ogni dieci lavorano nel Mezzogiorno, contro sei su dieci al Centro Nord” e anche che, per quanto riguarda il reddito delle famiglie, “il divario territoriale tocca il 38%”. Anche per quanto riguarda lo sviluppo dei diversi settori, anche se il Sud dovrebbe essere avvantaggiato in tal senso, risulta che “le presenze turistiche per chilometro quadrato, nonostante il potenziale del territorio, sono circa un terzo nel Meridione”.

Si tratta di disuguaglianze strutturali interne al Paese che, soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria, hanno accentuato i divari sociali. E fatto soffrire alcune regioni più di altre, dato che partivano già in una posizione di svantaggio: se infatti – come evidenziato dal direttore generale dell’istituto Tagliacarne Gaetano Fausto Esposito – a seguito delle chiusure e delle misure anti-contagio il Nord ha potuto compensare le perdite del settore della ristorazione con altri settori meno fiaccati dal Covid, il Sud non ha avuto questa stessa “fortuna”.
Ma, tra i dati più allarmanti riguardanti il divario Nord-Sud, c’è sicuramente quello relativo all’indice di povertà assoluta: nel Mezzogiorno questo in alcuni territori registra picchi pari all’11% della popolazione residente, con un’incidenza media stimata per il 2020 del 9,3% (contro una media nazionale del 7,7%). A contribuire a questo dato quello relativo a un certo “nanismo imprenditoriale”, con aziende in media più piccole, meno tecnologiche e con meno personale al Sud rispetto che al Nord (2,9 addetti medi al Meridione contro i 3,9 medi al Settentrione).
E, se già la situazione generale è questa, la crisi pandemica e le conseguenti chiusure delle attività non hanno fatto che aggravarla, con importanti conseguenze soprattutto a livello di emergenza sociale, visto che su un totale di 73.200 realtà oggi a rischio chiusura, quelle attive nel Meridione sono 20mila. A pesare anche la scarsa internazionalizzazione di queste realtà al Sud, la debole innovazione digitale e le difficoltà legate all’assenza, in alcune aree, di infrastrutture (adeguate).
Le misure del Pnrr accorceranno il divario?
Nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza l’Italia riceverà 191,5 miliardi di euro dalla Commissione europea per sostenere la ripresa dopo la pandemia, 30,6 miliardi dal Piano complementare, 26 miliardi per la realizzazione di opere specifiche e 15,5 miliardi dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, per un totale di circa 248 miliardi di euro da utilizzare in cinque anni. Somme molto grandi e che avranno bisogno di una gestione attenta e capillare per una loro reale ottimizzazione e, soprattutto, per evitare sprechi di risorse così preziose come spesso è accaduto in passato sempre per quanto riguarda i fondi in arrivo dall’Ue. Ritardi dovuti per lo più a una paralizzante burocrazia, allo scarso coordinamento tra enti gestori e ad una incapacità di gestione delle risorse tutta a danno dei territori, delle loro economie e dei loro cittadini.
Motivo, questo, che ha spinto il Mef – come annunciato di recente dal premier Mario Draghi – a creare una piattaforma con l’obiettivo di monitorare i progetti del Pnrr per evitare sprechi e ritardi e verificare anche qualità e inclusività del processo decisionale di costruzione degli interventi legati al Recovery Plan. La ripresa economica è la priorità del Paese e deve essere un obiettivo nazionale: nei prossimi sette anni le sette regioni italiane classificate come meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) avranno a disposizione circa 210 miliardi di euro di risorse pubbliche e si tratta di un’occasione imperdibile per il Sud per riuscire a superare quell’odioso divario.
Tra le prime misure per un rilancio economico ed occupazionale ci sono gli sgravi fiscali per le assunzioni di lavoratori nelle imprese del Mezzogiorno, in particolare di giovani e di donne, la riduzione delle tasse universitarie e borse di studio, i progetti per stimolare l’innovazione, l’imprenditorialità, la transizione digitale e green, gli investimenti per agevolare l’accesso a servizi sanitari, educativi e culturali di qualità, integrare i migranti e combattere l’esclusione sociale.