Il prezzo del petrolio sta scendendo, dopo essere cresciuto in maniera quasi costante dall’inizio della pandemia fino al primo semestre del 2022. Non è una buona notizia perché deriva dalla sensazione, tra gli investitori, che l’economia globale si stia avviando verso una recessione

Sebbene il valore in dollari al barile resta comunque molto alto, a dei livelli che non si vedevano da anni, il prezzo del petrolio è in diminuzione da mesi. I rincari dell’energia sono tra le cause principali dell’inflazione che sta mettendo in difficoltà tantissime famiglie e imprese, ma la minore quotazione del greggio potrebbe persino peggiorare la situazione.

Dopo la pandemia, l’offerta dei Paesi produttori non è aumentata tanto quanto la domanda, rendendo di fatto il petrolio un bene “prezioso” – e potrebbe rimanere così per ancora molto tempo. I Paesi produttori sembrano infatti non avere intenzione di aumentare di molto la produzione di petrolio, cosa che porterebbe a un calo del prezzo: se da un lato questo porta loro ampi margini di guadagno, dall’altro le aziende non dispongono effettivamente delle risorse necessarie a incrementare l’estrazione. Per anni il petrolio aveva mantenuto infatti un prezzo molto più basso di quello di oggi, e i Paesi avevano ridotto gli investimenti nella produzione, in vista di uno spostamento della domanda di energia verso fonti più pulite e sostenibili.

Inoltre, le quotazioni si sono ridotte parecchio per la possibilità che l’Iran torni a vendere all’Occidente la propria produzione di petrolio. Se il governo iraniano riuscisse a rinegoziare l’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti e diversi Paesi europei, cancellato da Donald Trump, e a farsi rimuovere così le sanzioni occidentali potrebbe arrivare a fornire oltre un milione di barili al giorno.

 

I timori di una recessione economica globale

Alle cause strutturali sulla diminuzione del prezzo del petrolio bisogna aggiungere la preoccupazione, sempre più diffusa tra gli investitori, per un’imminente recessione economica a livello globale. Il Fondo Monetario Internazionale ha già ridotto le stime di crescita del PIL mondiale per il 2022, passando dal 3,2 per cento al 2,9, in seguito allo stallo della crescita nelle tre maggiori economie mondiali – Stati Uniti, Cina ed Europa.

La parità raggiunta tra il valore dell’euro e del dollaro a luglio 2022 non ha aiutato: dato che il petrolio viene trattato in dollari, oggi è molto meno conveniente acquistarlo. Nel 2008, ad esempio, il prezzo del barile era arrivato a 144 dollari, e con il cambio favorevole il prezzo finale in Europa era di appena 97 euro.

A seguito della guerra in Ucraina l’Occidente sta tagliando le forniture di petrolio russo, tra le altre cose, rischiando come conseguenza un improvviso blocco dei flussi di gas dalla Russia all’Europa: questo, come prevedibile, genera un clima di grande incertezza nel mercato. Ci sono poi i timori sull’inflazione, che potrebbe restare alta ancora a lungo, e di conseguenza le banche centrali stanno aumentando gradualmente – dopo anni – i tassi di interesse. Infine c’è la Cina, il più grande importatore di petrolio al mondo: la sua strategia zero-covid sta facendo gravi danni all’economia del Paese, riducendo la domanda di combustibili, e visto il ruolo che detiene all’interno del mercato globale anche le quotazioni del greggio si adattano.

 

Cosa fanno i Paesi produttori di petrolio

I membri dell’OPEC+ – l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, più altri Stati come la Russia – nella giornata di lunedì 5 Settembre hanno annunciato un importante taglio simbolico sulla produzione giornaliera di greggio. Si tratta di una riduzione di 100mila barili al giorno, poco significativa in termini quantitativi e che avrà limitate conseguenze sulle forniture mondiali di petrolio, ma che dice molto sulla posizione dei Paesi produttori rispetto alla crisi in corso.

Circa un mese fa, infatti, l’OPEC+ aveva concesso un aumento delle estrazioni per 100mila barili al giorno, sull’onda delle insistenti richieste di alcuni leader occidentali per far scendere il prezzo del petrolio – primo fra tutto Joe Biden. L’accordo era già considerato esiguo e insufficiente a mitigare il problema, ma era stato letto come un primo passo – più che altro diplomatico – nel cercare di andare incontro ai consumatori.

Secondo gli analisti quest’ultimo taglio dimostra che i Paesi dell’OPEC+ non sono realmente intenzionati a diminuire il prezzo del petrolio: al contrario, stanno impostando la produzione in modo che il costo al barile non scenda al di sotto dei 100 dollari, così da garantirsi ampi margini di guadagno.

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