Il cuneo fiscale è un tipico tema da campagna elettorale, e nelle ultime settimane i partiti hanno promesso di ridurlo. In Italia se ne parla da anni e in merito sono intervenuti molti governi: le misure concrete però sono state poche, perché diminuirlo – nella pratica – è molto complicato

Il cuneo fiscale  è tra i temi affrontati di recente nel decreto Aiuti bis, dove il governo ha deciso di potenziare ed estenderne il taglio. L’intervento introduce una riduzione temporanea, pari all’1,2%, sui contributi pagati dai lavoratori con un reddito fino a 35mila euro. A questo si somma lo sconto dello 0,8% fissato dalla legge di bilancio 2022 per i dipendenti pubblici e privati. Il totale della riduzione raggiunge così i due punti percentuali, per i mesi tra luglio e dicembre 2022, con un costo per lo Stato di 1,2 miliardi. Secondo una simulazione realizzata dal sindacato UIL, i dipendenti riceveranno in busta paga, fino alla fine dell’anno, un aumento di poco più di 15€ lordi – una cifra giudicata «elemosina» dal segretario generale della UIL Pierpaolo Bombardieri.

 

Cos’è il cuneo fiscale

Il cuneo fiscale – definito dall’OCSE come “il rapporto tra l’ammontare delle tasse pagate da un singolo lavoratore medio e il corrispondente costo totale del lavoro per il datore” – è in sostanza la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quello che il lavoratore percepisce come stipendio netto. Le imposte sui redditi del lavoro finanziano i servizi generali, come la sanità, la manutenzione delle strade e così via; i contributi dei dipendenti finanziano invece le pensioni e le varie tutele di cui beneficiano gli stessi lavoratori, come l’assistenza medica, tra le altre cose.

L’Italia è il quinto Paese dell’OCSE con il cuneo fiscale più alto – pari al 46,5%: significa che se il costo complessivo del lavoro è pari a 100 €, il dipendente percepisce una retribuzione di 53,5 €. Secondo i dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), prima dell’Italia ci sono la Francia, con il 47,01%, e l’Austria, con il 47,8%; al secondo posto nella classica dei 36 Paesi OCSE c’è la Germania, che presenta un cuneo fiscale poco superiore al 48%, mentre il Belgio raggiunge il 52,63%.

Il cuneo fiscale rappresenta un onere sia per le imprese che per il lavoratore, che vede diminuita la sua retribuzione netta a causa di imposte e trattenute – in Italia l’azienda si fa carico del 24% delle imposte, mentre il dipendente del 22,5%. Secondo i calcoli del Sole 24 Ore, l’effettivo cuneo fiscale italiano sarebbe però ben più alto del calcolo OCSE, che considera la retribuzione media di un lavoratore single, e raggiungerebbe nel settore privato i 60 punti percentuali.

 

Perché non viene ridotto il cuneo fiscale?

Ridurre i costi del lavoro avrebbe molti vantaggi: per le imprese diventerebbe più conveniente assumere e stabilizzare un lavoratore, dando maggiore impulso al mercato, mentre i dipendenti – avendo un reddito più alto – spenderebbero di più e investirebbero maggiormente. È facile intuire come la riduzione del cuneo fiscale metta, in linea teorica,  tutti d’accordo – imprese, sindacati e classe politica: perché allora non viene ridotto?

Una diminuzione del cuneo fiscale, per essere percepibile dai lavoratori e dalle aziende, deve essere molto ambiziosa. Misure di questo tipo sono però particolarmente costose (il bonus Renzi costava tra i 7 e i 10 miliardi di euro l’anno) e non possono essere finanziate facendo più debito pubblico. Inoltre, una riduzione del cuneo fiscale porrebbe lo Stato nella situazione di dover sopperire alle minori entrate economiche che ne deriverebbero.

Date le decisioni scomode e difficili che si devono prendere quando si propone un intervento di questo tipo, in campagna elettorale i partiti rimangono strategicamente molto vaghi in merito, e non indicano quasi mai quale parte del cuneo fiscale tagliare, né come finanziare concretamente la misura; e anche nelle proposte dei partiti per le elezioni del 25 settembre si nota la stessa attitudine.

 

Le proposte dei partiti in merito

Una proposta ambiziosa sul taglio del cuneo fiscale era arrivata da Confindustria: aveva un costo totale di 16 miliardi di euro l’anno per lo Stato, ma il beneficio massimo per i lavoratori – quelli con una retribuzione da 35mila euro lordi – sarebbe stato di quasi 800 euro netti all’anno. «Fatelo lunedì» disse in modo provocatorio il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, di fronte alla dimostrazione che tutti i sindacati e i partiti politici si trovarono d’accordo con la proposta.

Anche il Partito Democratico, a giugno, qualche mese dopo Confindustria, aveva messo sul tavolo un taglio molto ambizioso del cuneo fiscale, che avrebbe garantito ai lavoratori un’ulteriore mensilità netta all’anno. La misura verrebbe finanziata con i fondi derivanti dalla lotta all’evasione – una pratica, questa, che trova d’accordo anche Italia Viva, +Europa e Azione.

Al centro del programma fiscale della coalizione di destra – e in particolare della Lega – c’è da tempo la cosiddetta “flat tax”, ossia la riduzione delle aliquote IRPEF, al 15, 23 e 33 per cento,  e il superamento dell’IRAP (l’imposta regionale sulle attività produttive). La misura, per quanto veicolata come un generale taglio delle tasse, avvantaggerebbe solo una minoranza dei contribuenti – pari al 5%. La proposta di Fratelli d’Italia – “Flat tax su incremento di reddito rispetto agli anni precedenti” – va invece in una direzione diversa: gli autonomi a partita Iva pagherebbero il 15% su tutto il reddito, mentre gli altri godrebbero di questa aliquota più bassa solo per gli aumenti di stipendio.

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