Cos’è la stagflazione e quali sono le sue cause. Due lezioni dagli anni ’70 per affrontarla meglio oggi, tra segnali preoccupanti e incoraggianti

Ogni tanto torna nel dibattito pubblico (specialmente in quello economico) una parola “cerbero”: stagflazione. Cerbero sia perché fa abbastanza paura, sia perché, già intuitivamente, è la fusione di due altre parole: stagnazione e inflazione. Il significato di queste altre due parole è generalmente conosciuto o intuibile: la stagnazione rappresenta la mancanza di crescita economica, mentre l’inflazione il generale aumento dei prezzi. Pare che a usare per la prima volta questo termine sia stato, nel 1965, Iain MacLeod, ministro delle Finanze conservatore, che parlando alla House of Commons disse: “Ora abbiamo il peggio dei due mondi: non solo inflazione da un lato o stagnazione dall’altro, ma entrambi insieme. Siamo in una sorta di ‘stagflazione'”. E la storia, in termini moderni, si sta davvero compiendo.

Eppure è un termine che, in diverse fasi della storia, è stato legato a doppio filo all’Italia. Un esempio noto è quello della crisi successiva alla guerra del Kippur, nel 1973, in seguito all’embargo delle esportazioni di petrolio nei Paesi occidentali. E questo ci porta naturalmente a parlare di quelle che sono le principali cause di questo fenomeno secondo gli economisti.

Le cause della stagflazione

Principalmente, la stagflazione viene spiegata sulla base di due fenomeni.

  1. Il primo riguarda lo “shock di offerta“: un evento, generalmente inaspettato, in grado di produrre effetti sull’offerta aggregata. Pensiamo alla guerra (come in questo periodo), un disastro naturale ma anche determinati cambiamenti tecnologici. Spesso questi shock sono difficili da gestire da parte delle autorità statuali, che attraverso le politiche monetarie cercano in primo luogo di esercitare influenza sulla domanda aggregata.
  2.  Una seconda causa attiene proprio all’intervento governativo. Se in una congiuntura che ostacola la crescita economica viene rapidamente aumentata l’offerta di moneta allora si avranno gli effetti della stagnazione economica accompagnati all’aumento dei prezzi.

I dilemmi della teoria negli anni ’70

Nei primi anni in cui si cominciò a parlare di stagflazione, autorità politiche e dottrina economica furono in difficoltà. Infatti, in una prospettiva keynesiana, la disoccupazione è causata da una insufficiente domanda aggregata: vengono prodotti molti beni e servizi che restano invenduti. Al contrario, l’inflazione è causata dal pieno impiego, e quindi dall’eccesso di domanda aggregata rispetto all’offerta aggregata: se non ci sono abbastanza prodotti per tutti, ecco che i prezzi aumentano. Sempre secondo questa prospettiva, ormai superata, rigidamente keynesiana, vediamo che quindi la disoccupazione dovrebbe essere sempre accompagnata dal calo di prezzi (per via della diminuzione della domanda). Cosa ha comportato questo difetto di prospettiva?

In estrema sintesi, la cura sbagliata al problema: continuare ad aumentare la moneta circolante che, in un momento di stagflazione, faceva accrescere l’inflazione senza apportare significativi miglioramenti sul fronte della occupazione.

Tasso di interesse reale e nominale

Naturalmente la dottrina e le banche centrali hanno fatto diversi passi avanti rispetto ai primi, insufficienti rimedi approntati negli anni Settanta. Come riassunto dal Prof. Monacelli, da allora, la politica monetaria ha appreso almeno due grandi lezioni su come fronteggiare gli shock stagflazionistici, consapevole del fatto che, come spiegato all’inizio dell’articolo, si tratta di crisi che arrivano dal lato dell’offerta.

Per capirle dobbiamo richiamare alla mente alcuni concetti. I tassi di interesse indicano quanto costa prendere denaro in prestito e quanto fruttano i risparmi. Se chiedi un prestito in banca, il tasso di interesse è quanto paghi per il prestito. Se invece depositi denaro su un conto di risparmio, l’interesse è il rendimento che ricevi su quella somma dalla tua banca. Per questo è fondamentale rapportarlo all’inflazione: il tasso di interesse reale indica il tasso di interesse al netto del tasso di inflazione vigente in una data economia.

Le due lezioni da imparare

La prima lezione è che di fronte a shock di offerta, la politica monetaria non deve cercare di rincorrere pedissequamente l’evoluzione degli eventi, bensì deve “rispondere segnalando le proprie azioni future, annunciare oggi ciò che farà domani e dopodomani“. E questo significa prendere impegni sul sentiero dei tassi di interesse. Infatti, una delle cause principali dell’inflazione è rappresentata proprio dalle aspettative di inflazione, soprattutto quando lo shock dei prezzi riguarda beni di consumo quali benzina, elettricità e riscaldamento.

La seconda lezione è che per sconfiggere l’inflazione è necessario aumentare i tassi di interesse reali, e non solo quelli nominali. Sono infatti i tassi di interesse reali che incidono davvero sulle decisioni di consumo e investimento. Quindi sono loro a incidere sulla domanda aggregata e quindi sull’inflazione. Per generare un rialzo dei tassi di interesse reali è necessario alzare i tassi di interesse nominali al di sopra dell’inflazione. Alzare solo i tassi di interesse nominali può non essere sufficiente per frenare l’inflazione. Le banche centrali furono poco efficaci negli anni Settanta con il rialzo dei tassi troppo blando. Per frenare l’inflazione fu in realtà necessario alzare i tassi nominali al di sopra dell’inflazione, al fine di generare un rialzo dei tassi di interesse reali. Questi ultimi sono quelli rilevanti per le decisioni di consumo e investimento degli agenti, e quindi lo strumento chiave per incidere sulla domanda aggregata e, in ultimo, sull’inflazione.

Lo scenario di oggi: stiamo andando verso la stagnazione?

Ma stiamo davvero andando verso la stagflazione, oggi? Benché sia una preoccupazione diffusa, i dati sono più incoraggianti di quel che si potrebbe pensare. Come abbiamo appena visto, le aspettative sull’inflazione rilevano molto, e rispetto agli anni ’70 le nostre aspettative sono più stabili. Se i dati attuali sono preoccupanti, le proiezioni future non lo sono altrettanto: le aspettative di inflazione futura si sono stabilizzate e le dinamiche dei salari non destano per ora grande preoccupazione La salita del greggio è stata meno arcigna rispetto agli anni 70, con un effetto meno bloccante sulla crescita economica. Quello che preoccupa di più è il trend: l’inflazione più alta del previsto e la crescita più bassa del previsto.

Nell’ultimo periodo si è comunque vista una correzione importante del mercato e a una salita notevole dei tassi d’interesse a lungo termine, che li ha portati a livelli decisamente più consoni. Non è quindi eccesso di ottimismo aspettarsi un miglioramento di quei mercati dove il rialzo dei tassi è stato ad oggi più pesante.

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