Il prezzo di moltissimi beni sta aumentando da tempo, per ragioni diverse, ma da alcune settimane ci sono segnali positivi. A novembre l’inflazione è rallentata, sia negli Stati Uniti che in Europa, ma le banche centrali non sanno ancora se si tratta di una tendenza al ribasso – e nel frattempo continueranno ad aumentare i tassi d’interesse

La Federal Reserve, la banca centrale americana, e la BCE, la Banca Centrale Europea, hanno scelto di aumentare ancora i tassi di interesse. Nell’Eurozona i tassi d’interesse di riferimento cresceranno ancora di 50 punti base (ossia di 0,5 punti percentuali). La mossa ricalca quella della Federal Reserve, che ha aumentato a sua volta i tassi di mezzo punto, portandoli oltre il 4 per cento, un livello che non si vedeva da 15 anni. Questi sono aumenti di per sé notevoli, ma meno aggressivi di quelli precedenti, cosa che sembra dire ci sia l’accenno di una tendenza al ribasso. E se negli Stati Uniti questa dinamica si vede da qualche mese, nell’Eurozona si è appena manifestata.

Dopo oltre un anno di aumenti dei prezzi in Occidente, a un livello che non si vedeva dagli anni Settanta, inizia quindi a esserci qualche segnale positivo, anche se è presto per dirsi ottimisti. Questo è il risultato delle politiche di aumento dei tassi condotte negli scorsi mesi, e ancora in corso, con il fine di rallentare l’economia e “raffreddare” così l’incremento dei prezzi. Ma attenzione: il rallentamento dell’inflazione non significa però che i prezzi stiano calando. Significa solo che l’aumento annuale è meno intenso rispetto ai mesi precedenti. A novembre in Europa l’inflazione è mediamente scesa, passando dal 10,6% su base annua registrato a ottobre al 10%, mentre in Italia la situazione non è praticamente cambiata rispetto al mese precedente. L’ISTAT associa questa momentanea diminuzione ai calo dei prezzi dell’energia, e fa notare che «se nei prossimi mesi continuasse la discesa in corso dei prezzi all’ingrosso del gas e di altre materie prime, il fuoco dell’inflazione, che ha caratterizzato sin qui l’anno in corso, potrebbe iniziare a ritirarsi».

 

Che cos’è l’inflazione

L’inflazione è un aumento generalizzato del livello dei prezzi. Viene misurata periodicamente dagli istituti di statistica, che monitorano i prezzi dei beni e dei servizi più acquistati dal consumatore medio, e che sono quindi rappresentativi del costo della vita. Su livelli accettabili, l’inflazione è una componente per così dire “sana” dell’economia: le aziende producono, impiegano lavoratori, e le persone spendono. In questo caso si tratta di “inflazione da domanda” e le banche centrali sostengono che il livello ideale sia attorno al 2 per cento.

In questo periodo, invece, le famiglie e le imprese stanno perdendo il proprio potere d’acquisto, perché continuano a percepire e generare gli stessi redditi a fronte di un aumento complessivo dei prezzi. In un sistema così aumentano le disuguaglianze e le iniquità, in un vortice tutt’altro che sano, cosa che porta alla stagnazione dell’economia. Per capire quanto sia “strutturale” l’aumento dei prezzi, gli istituti di statistica monitorano la cosiddetta “inflazione di fondo”: questa si ottiene togliendo dall’inflazione complessiva la componente più volatile dei prezzi, ossia quella legata all’energia e ai beni alimentari – due mercati molto instabili.

 

Perché con l’inflazione sono aumentati i prezzi

Se un bene a novembre 2021 costava cento, oggi costa di più: negli Stati Uniti arriverebbe a 107 e nell’Eurozona a 110. Ma le cause dell’aumento dei prezzi non vanno ricollegate alla sola guerra in Ucraina, come si potrebbe pensare. I prezzi stavano aumentando già prima di febbraio 2022, quando la Russia iniziò la sua offensiva. La causa va ricercata nelle numerose distorsioni che ha portato nel mercato globale la pandemia, come la mancanza di molti materiali e il fermo momentaneo delle catene di produzione. Ad esempio, l’emergenza sanitaria aveva già reso più caro per le aziende reperire le materie prime necessarie alla produzione — come nel caso dei microchip o della carta. La guerra in Ucraina ha però in effetti peggiorato una situazione già di per sé delicata, facendo aumentare enormemente il costo dell’energia e del gas. La Russia è il secondo produttore di gas naturale al mondo, e ha costantemente ridotto le sue esportazioni di gas in risposta alle sanzioni inflitte dall’Occidente. Questa riduzione ha colpito soprattutto l’Europa, che importava il 40% del suo gas dalla Russia, con tutte le conseguenze che stiamo vedendo.

Nell’area dell’euro ci troviamo di fronte a un’inflazione causata principalmente dall’aumento del costo dell’energia, mentre negli Stati Uniti si tratta maggiormente di un’inflazione da eccessiva domanda, causata dal post-pandemia — anche perché gli USA sono più indipendenti a livello energetico, e non hanno risentito troppo di questa crisi. Già nei mesi scorsi era evidente come l’inflazione degli Stati Uniti fosse molto diversa da quella in Europa, e altrettanto diversa è stata la risposta delle rispettive banche centrali. La Federal Reserve americana ha scelto di aumentare i tassi di interesse già dall’inizio del 2022, mettendo in atto in maniera aggressiva e repentina la strategia tipica di questi casi. La BCE invece è stata più cauta e solo nella seconda metà dell’anno ha annunciato il primo rialzo dei tassi d’interesse. La Banca Centrale Europea scommetteva sul fatto che l’inflazione nel continente, proprio perché maggiormente guidata dai prezzi dell’energia, fosse meno strutturale di quella americana — ma è stato così solo in parte.

Anche se ci sono timidi segnali di rallentamento dell’inflazione, è probabile che le banche centrali continueranno ad aumentare i tassi di interesse. Se da un lato la Federal Reserve potrebbe rallentare il passo, decidendo rialzi meno sostanziosi (visto che anche l’inflazione di fondo sta scendendo), dall’altro la BCE deciderà di attenuare gli aumenti, proprio perché l’inflazione di fondo nell’Eurozona non si è ancora del tutto arrestata.

 

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