Mentre l’India supererà presto la Cina in termini di abitanti (in entrambi i Paesi vivono circa 1,4 miliardi di persone), tra il 2020 e il 2021 la popolazione sulla Terra è cresciuta meno dell’1 per cento, vale a dire l’incremento più basso dal 1950 a oggi.Ma, nonostante gli allarmi, il calo delle nascite è associato a migliori condizioni sociali, economiche e ambientali
Il recente calo dei nuovi nati è uno dei tanti risvolti della pandemia, che ha portato a un abbassamento dell’aspettativa di vita media da 72,9 anni nel 2019 a 71 nel 2021. Come conseguenza delle morti, del calo delle nascite e della minore immigrazione dovuti all’emergenza sanitaria, nel 2021 la popolazione europea è diminuita di quasi 1 milione e mezzo di persone. Ma più in generale è da diversi decenni che i Paesi europei registrano bassi livelli di fertilità, e la motivazione principale è che la popolazione giovanile è largamente in minoranza. Anche in Italia l’Istat ha rilevato una diminuzione delle nascite, che prosegue da oltre dieci anni: nel nostro Paese il tasso di fecondità è tra i più bassi d’Europa, e si attesta in media in poco più di 1 figlio per donna.
Il calo delle nascite, insieme all’invecchiamento della popolazione, è spesso legato a riflessioni preoccupate sui media: nel pensiero comune la diminuzione dei nuovi nati porterebbe a un indebolimento dell’economia, mentre una società più anziana produrrebbe un minor numero di lavoratori. Caroline Hartnett, docente di scienze demografiche all’Università del South Carolina, ha detto al New York Times che la tendenza dei media a descrivere il calo dei tassi di fecondità in termini di crisi potrebbe produrre effetti indesiderati, determinando nella migliore delle ipotesi una polarizzazione eccessiva del dibattito e nella peggiore eccessive preoccupazioni nei lettori.
Tra gli studiosi ed esperti di economia e demografia esiste invece un dibattito meno sbilanciato e più attento, in cui l’idea che sia un bene che oggi, nei Paesi in via di sviluppo e in quelli occidentali, nascano meno persone gode di un buon livello di consenso. Le motivazioni riguardano la qualità della vita delle donne e delle famiglie in termini economici, in misura minore la tutela dell’ambiente e più in generale la società.
Il calo delle nascite e l’economia
Dal punto di vista economico, il Guardian si è chiesto quali siano le ragioni delle preoccupazioni delle persone rispetto ai bassi tassi di natalità e all’invecchiamento della popolazione. Una delle spiegazioni che offre la testata britannica è che l’idea che l’Occidente ha di un’economia “sana” è ancora troppo radicata nel passato: nel Diciannovesimo secolo le società avevano bisogno di giovani per far funzionare le fabbriche, e la loro carenza destava non pochi timori, mentre oggi molte professioni e lavori sono svolti o favoriti dall’automazione. Se si prende in considerazione il PIL pro capite – cioè il PIL diviso per il numero di abitanti – uno studio demografico dell’Università di Berkeley mostra come i valori diventino più alti quando il tasso di fecondità scende intorno a 1,6 nascite per donna – nel 1950 era in media 4,7 a livello globale, mentre nel 2017 era arrivato a 2,4 (seppure con enormi differenze tra le varie nazioni).
Fare meno figli è una scelta ambientale?
Semplificando molto, il fatto di essere così “tanti” – le Nazioni Unite stimano che entro quest’anno la popolazione mondiale supererà gli 8 miliardi di persone – richiede tra le altre cose un eccessivo sfruttamento delle risorse complessive a nostra disposizione. Nel suo articolo sul Guardian la giornalista Laura Spinney, esperta di storia della scienza, non esclude che salvare il pianeta possa essere una delle ragioni per cui alcune persone scelgono di non avere figli o quasi, ma al tempo stesso sostiene che l’impatto di questa scelta sul clima non sia del tutto chiaro: «Sappiamo che la crisi climatica e la crescita della popolazione umana sono collegate, ma non sappiamo esattamente come», scrive Spinney. «È meglio avere uno o due figli ed educarli come consumatori attenti all’ambiente, piuttosto che negarti dei figli se li vuoi» conclude Sarah Harper, gerontologa dell’Università di Oxford consultata da Spinney.
Quando il nazionalismo sfrutta il calo delle nascite
L’Atlantic riporta poi che al calo dei tassi di fecondità è statisticamente associata la crescita di sentimenti nazionalisti: laddove le popolazioni diminuiscono – generalmente nelle zone rurali e nelle piccole città – le economie ristagnano e il populismo aumenta, anche attraverso la promessa di ripristinare una sorta di “dominio demografico”. Se non opportunamente contrastata da politiche di integrazione sociale, questa dinamica tende a determinare un circolo vizioso in cui la popolazione cala, l’immigrazione cresce, le persone si spaventano per l’afflusso di altre persone e diventano più inclini a sostenere politiche nazionaliste. Ma un ruolo fondamentale in ambito demografico ed economico lo gioca l’immigrazione stessa: in Canada, ad esempio, dove la natalità è piuttosto bassa e l’età media dei lavoratori molto elevata, l’economia è cresciuta negli ultimi anni anche grazie a un aumento della popolazione favorito dall’immigrazione.
Perciò, nonostante gli allarmi, il calo delle nascite è tendenzialmente associato a condizioni sociali migliori e, per quanto in piccolo, favorisce processi più sostenibili per il Pianeta, in termini non solo ambientali – è però importante che l’immigrazione compensi i possibili squilibri al settore economico.
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