La crisi delle Big Tech è trasversale e sta colpendo moltissime realtà. L’intero settore dovrà attrezzarsi per affrontare una fase molto dura, che comporterà notevoli cambiamenti strutturali, tra cui migliaia di licenziamenti, titoli che crollano in borsa e inserzionisti che si ritirano. A causare la più grande redistribuzione di talenti della storia recente dell’industria tecnologica c’entrano investimenti sbagliati e una situazione economica sfavorevole

Facebook ha licenziato 11mila dei suoi 87mila dipendenti. I motivi? Il crollo degli investimenti pubblicitari, l’inflazione, la scommessa ancora lontana del metaverso e la concorrenza di TikTok. Twitter, una settimana dopo l’acquisto da parte di Elon Musk, ha licenziato 3700 persone, e il social network stima perdite per 4 milioni di dollari al giorno. Il progetto della spunta blu a pagamento (simbolo accanto al nome che identifica gli account verificati) non ha fatto breccia, e ora molti brand (tra cui General Motors, Pfizer e L’Oréal) stanno ritirando gli investimenti pubblicitari, che da soli compongono il 90 per cento del fatturato della società – oggi più di tutte simbolo della crisi delle Big Tech.

Messi a dura prova dai continui annunci di cambiamenti e dai ripensamenti del nuovo proprietario dell’azienda, centinaia di dipendenti hanno deciso spontaneamente di lasciare Twitter, che in questo modo non smette di perdere ingegneri, sviluppatori, progettisti e dirigenti in aree fondamentali per il servizio. Il rischio è che in breve tempo la piattaforma non possa più essere mantenuta, portando grossi problemi per i suoi oltre 240 milioni di utenti giornalieri. Molti hanno commentato le dimissioni dicendo di aver terminato il proprio impegno con “Twitter 1.0”, e di non essere interessati al “Twitter 2.0” di Musk – viste come sono andate le ultime settimane. L’approccio – a tratti molto controverso – tenuto dal fondatore di Tesla sarebbe più orientato allo sviluppo ingegneristico, ma secondo diversi osservatori sarà difficile applicarlo a un social network come Twitter, dove ci sono molte più variabili in gioco, legate alle sue funzionalità originali e al fatto che viene utilizzato da milioni di persone con esigenze e obiettivi diversi.

Ma i problemi per le Big Tech non si esauriscono qui. Amazon, che ha presentato una trimestrale con i conti inferiori alle aspettative e ha rivisto i risultati al ribasso per la fine dell’anno, ha avviato il suo primo grande licenziamento di massa – pari al 3 per cento dei lavoratori. E ancora: Snapchat in estate ha deciso un taglio del 20 per cento del personale (più di un migliaio di posti di lavoro), per tamponare le perdite strutturali. Lyft, app di trasporti privati, ha annunciato una riduzione del 13 per cento della forza lavoro, mentre Robinhood – società che gestisce l’omonima app per fare trading – licenzierà circa un quarto dei suoi dipendenti. Secondo Layoffs.fyi, un sito che tiene monitorati i licenziamenti nel settore tecnologico, da inizio anno sono stati oltre 100mila i professionisti costretti a lasciare il proprio ruolo.

 

La crisi delle Big Tech prima e dopo la pandemia

Gli analisti concordano nel dire che è in corso una grave crisi nel settore tecnologico, nonché la più grande redistribuzione di talenti della storia recente dell’industria tech, che dopo anni di crescita sostenuta sta mostrando segni di crisi. Con il timore di una recessione in arrivo, gli investitori sono più cauti e i ricavi – soprattutto quelli pubblicitari, su cui si basa gran parte del giro di affari delle aziende tech – sono calati di conseguenza. Il fondatore di Meta, Mark Zuckerberg, nella sua lettera ai dipendenti licenziati, si è preso la responsabilità della decisione: «Sfortunatamente, le cose non sono andate nel modo in cui mi ero immaginato», a causa – prosegue – di un contesto economico in peggioramento e di una crescita del settore che dopo la pandemia si è arrestata. «Abbiamo assunto troppo per il mondo in cui siamo», hanno detto i fondatori di Stripe, la piattaforma di pagamenti elettronici, che licenzierà il 14 per cento dei suoi lavoratori. L’errore evidenziato da Stripe è stato lo stesso di tante altre società del settore, che hanno riposto troppa fiducia nelle attese di crescita e non sono riuscite a tenere sotto controllo i costi.

Durante la pandemia il ruolo della tecnologia era diventato effettivamente più centrale e importante, a causa delle restrizioni, e il settore ne aveva beneficiato notevolmente – grazie a flussi di denaro molto più alti che in passato. Con la fine dell’emergenza sanitaria si è tornati più o meno ovunque alle vecchie abitudini: chi investe nel settore tecnologico è quindi più attento, non solo perché gli stili di vita sono nuovamente cambiati, ma anche perché sembra che l’economia mondiale stia andando verso una recessione – ed è quindi diventato più costoso ottenere dei prestiti. Il Nasdaq, l’indice della borsa americana che più rappresenta l’andamento dei titoli informatici e tecnologici, negli anni 2020 e 2021 era cresciuto complessivamente dell’86 per cento, mentre da inizio 2022 ha perso il 32 per cento del suo valore; i titoli delle cinque grosse società tecnologiche quotate in borsa (Amazon, Alphabet, Meta, Apple e Microsoft) hanno perso oltre 3mila miliardi di dollari del loro valore (solo le azioni di Meta hanno perso oltre il 70 per cento).

 

Da cosa deriva il down del settore tecnologico

In tutti i casi, il fattore determinante è stato il calo dei proventi che arrivano dalle inserzioni pubblicitarie – la principale fonte di reddito per questo settore. L’attuale situazione economica complessa e incerta ha portato gli investitori a tagliare la pubblicità. Ma non si tratta solo di questo: in molti casi le aziende hanno pagato anche decisioni strategiche e prese di posizione che si sono rivelate sbagliate. Prima di tutti c’è Meta, che ha investito miliardi nello sviluppo del metaverso: Reality Labs, l’unità cui fanno capo i visori e lo sviluppo del metaverso stesso, ha incassato appena 285 milioni e, nei primi nove mesi dell’anno, ha già accumulato perdite per oltre 9 miliardi di dollari.

Anche Twitter si è fatta carico di scelte controverse nelle ultime settimane: come suggerito da Musk se ognuno dei circa 400 mila utenti verificati presenti sul social network pagasse 8 dollari al mese per ottenere la rispettiva certificazione (la spunta blu a fianco al nome), l’azienda guadagnerebbe oltre 38 milioni di dollari all’anno; se poi chiunque potesse pagare per essere verificato, i profitti sarebbero ancora più alti. La proposta ha però portato molti problemi alla società: importanti inserzionisti hanno iniziato a ritirare i propri investimenti temendo che, sotto Musk, Twitter non limiterà la disinformazione e il linguaggio d’odio sulla piattaforma. Molti esperti hanno fatto notare che Twitter potrebbe diventare un ambiente ancora meno sicuro e affidabile, se si dovesse permettere a chiunque di avere un account verificato.

Ma anche un altro social network, finora in grossa ascesa, sta combattendo con gli stessi problemi legati al calo degli investimenti pubblicitari che stanno avendo i suoi concorrenti: si tratta di TikTok, che per quest’anno ha dovuto ridurre i suoi obiettivi di ricavi – molto ambiziosi – di almeno 2 miliardi di dollari. Ma secondo alcuni analisti, la crisi che stanno attraversando le società tecnologiche potrebbe essere un bene: il settore avrebbe perso di vista quali siano le sue vere fonti di guadagno, vale a dire la pubblicità per i social network, e i servizi ai consumatori per le aziende di software. Secondo il Wall Street Journal, è tempo che la tecnologia torni a essere “noiosa” ma utile, e che lasci stare le velleità che di fatto migliorano la vita alle persone, come per l’appunto il metaverso.

 

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