Per anni i tassi sui prestiti delle banche sono stati vicini allo zero, e gli istituti di credito avevano scarsissima redditività. Ora le banche commerciali italiane stanno cogliendo gli aspetti più positivi di questo periodo in cui l’inflazione è alta. La Banca d’Italia le ha perciò invitate a rivedere le proprie condizioni contrattuali in favore dei clienti, e a non aumentare gli oneri a loro carico

Le banche centrali di tutto il mondo stanno aumentando i tassi di interesse per tenere sotto controllo l’inflazione. L’aumento generale del livello dei prezzi sta mettendo in difficoltà famiglie e imprese, perciò le singole banche centrali stanno incentivando gli istituti commerciali dei vari Paesi a non prelevare soldi dalle loro casse, “raffreddando” l’economia.

Da luglio dello scorso anno la BCE ha aumentato il tasso di interesse che chiede alle banche commerciali per fornire loro liquidità: è passato da zero al 3,5 per cento. La BCE ha alzato anche il tasso sui depositi, cioè il rendimento che garantisce alle banche che depositano fondi presso le sue casse – da meno 0,5 è salito al 3 per cento. Con queste manovre, le banche sono incentivate a lasciare i loro soldi nelle casse della BCE, e disincentiva i clienti finali a prendere prestiti di denaro perché i finanziamenti sono più cari.

Questi incrementi, però, non sono proporzionali all’aumento registrato a monte, ma, in determinati casi, sono diverse volte superiore, causando così un aumento esponenziale che porta il 3,5 per cento di aumento della BCE a diventare un aumento effettivo del 30 per cento per il cliente finale.

 

Perché le banche aumentano i tassi d’interesse

In un sistema economico che sta crescendo troppo in fretta, che per l’appunto viene definito “surriscaldato”, la domanda finisce per superare l’offerta; le persone cioè vogliono consumare più di quanto il sistema riesca a produrre, cosa che comporta un rapido aumento dei prezzi. Per tenere sotto controllo questa dinamica, le banche centrali intervengono sui tassi di interesse, lo strumento principale che indirizza l’andamento della moneta, dei mercati finanziari e, quindi, dell’inflazione stessa.

In un momento in cui i tassi di interessi sono alti, fare investimenti diventa meno conveniente – ad esempio, diventa più costoso chiedere un mutuo per comprare una casa. In questo modo i consumatori sono spinti a rimandare gli investimenti, provocando un generale rallentamento dell’economia e quindi una diminuzione dei prezzi. Le conseguenze di questa manovra, però, come si può immaginare, si stanno riversando non tanto sugli istituti di credito, ma sui clienti finali delle banche.

 

Le banche stanno guadagnando da questa inflazione

Come ha confermato anche Andrea Enria, presidente del consiglio di sorveglianza della BCE, mentre i tassi di interesse riconosciuti alle somme depositate sui conti correnti sono cresciuti solo dello 0,20 per cento, i tassi sui mutui e sui prestiti alle imprese sono aumentati notevolmente. Secondo i dati dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) i tassi di interesse sui mutui per le famiglie sono più che raddoppiati, passando dall’1,66 di un anno fa al 4 per cento di marzo 2023; anche i tassi dei finanziamenti alle imprese sono cresciuti, raggiungendo quasi i 4 punti percentuali – erano all’1,23.

Aumentando i tassi in loro favore di quasi dieci volte in più rispetto ai tassi che invece dovrebbero corrispondere ai clienti, le banche stanno guadagnando notevolmente dall’inflazione – tanto che si sta iniziando a vagliare la possibilità di tassare questi extra-profitti, così come era stato fatto le aziende energetiche durante i rincari dell’energia. Inoltre in Italia – dove le banche sono specializzate più in attività di credito, che in quelle speculative e di investimento, come invece avviene negli Usa – vige il cosiddetto sistema “banco-centrico”: significa che quando un’impresa necessita di liquidità, l’unica opzione che ha a disposizione è richiedere un finanziamento a una banca; in questo modo le aziende sono costrette ad accettare per forza tassi alti.

Nel 2022 il costo di un conto corrente è salito di circa 132 euro per ogni correntista, pari all’8 per cento in più rispetto all’anno precedente; ma i costi in crescita sono anche sulle nuove erogazione di credito al consumo, passati dall’8,93 al 9,25 per cento. Grazie a tutto questo, banche come Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno chiuso il 2022 con record di guadagni. La prima sul 2022 prevede una ridistribuzione agli azionisti di 5,25 miliardi di euro (+40 per cento) rispetto all’anno precedente, mentre la seconda ha incrementato gli utili per 5,5 miliardi di euro – e ha dichiarato che l’anno trascorso è stato il miglior anno della sua  storia.

 

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