Negli ultimi 20 anni si è allungata la lista di aziende Made in Italy acquisite da holding finanziarie asiatiche o multinazionali straniere. Nessun settore è stato risparmiato, dal lusso al food. Il marchio Sergio Rossi, finito in mano al gruppo cinese Fosun, è solo l’ultimo caso di cessione di una realtà italiana
Le aziende italiane, simbolo di qualità ed eccellenza nel mondo, sono diventate per le multinazionali straniere come i prodotti del supermercato in offerta: sempre appetibili. A partire dagli anni Duemila gruppi industriali di Cina e Hong Kong hanno investito in Italia una cifra intorno ai 16,2 miliardi di euro. Il Belpaese è terzo nella classifica europea, come meta di investimenti.
L’ultima acquisizione in ordine temporale è un brand del lusso, Sergio Rossi, storico marchio del calzaturiero famoso nel mondo, il quale ha ceduto alle lusinghe del gruppo finanziario cinese Fosun: a luglio verranno definiti i termini dell’accordo che vedrà dunque il brand romagnolo passare sotto la proprietà del conglomerato asiatico. Dopo un 2020 particolarmente difficile, l’azienda italiana ha chiuso in perdita e nel 2021 insegue il pareggio di bilancio; un motivo più che sufficiente per accettare la proposta cinese, che ha avuto la meglio su un altro brand italiano, Piquadro, pronto all’acquisizione. Probabilmente, il portafoglio cinese era più ricco.
Acquisizioni straniere: un fenomeno acuito dalla globalizzazione
In era pre-Covid, nel 2019, erano quasi settecento le imprese italiane controllate da trecento gruppi cinesi o di Hong Kong: un’escalation che affonda le sue radici nella storia recente, ed ha già un suo passato importante, di almeno 20 anni. Un fenomeno acuito dalla globalizzazione e dalla manodopera che nei paesi asiatici ha costi nettamente inferiori, rendendo difficile – quando non impossibile – una competizione ormai non più confinata all’interno del Vecchio continente, l’Europa, ma divenuta planetaria.
I settori industriali in cui i cinesi hanno investito di più dal 2008 sono chimica (48,8 miliardi di dollari), energia (25,9 miliardi), immobiliare (23,9 miliardi), miniere e attività estrattive (23,1 miliardi), Internet e software (15,1 miliardi), automotive (14,8 miliardi) e finanza (14,3 miliardi). Ma, soprattutto i grandi acquisitori della Cina, puntano ad assorbire anche l’unicità delle imprese italiane, quel know how che ha fatto la differenza dei brand italiani, riconosciuti per il loro valore.
Dal lusso al food: nessun settore viene risparmiato
Dando uno sguardo alle aziende italiane finite in mani straniere, non c’è settore che sia rimasto salvo dallo “shopping” di marchi Made in Italy: a partire dalla moda, con Fiorucci già comprato negli anni Novanta dai giapponesi, Krizia finito in Cina e Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Dodo, Brioni e Richard Ginori acquistati dal fondo francese Kering. Dal 2012, la maison Valentino è invece nelle mani di Mayhoola Investments mentre Ferrè è passato in quelle del Paris Group di Dubai. Anche La Rinascente appartiene alla compagnia thailandese Central Group of Companies. Tra i casi che hanno tenuto alta l’attenzione degli italiani c’è poi quello di Versace, il cui brand è stato venduto allo stilista americano Michael Kors per la bellezza di 2 miliardi di dollari. L’altro grande colosso francese della moda, LVMH, è diventato proprietario di Loro Piana, Fendi, Emilio Pucci e Bulgari.
Nel food i marchi Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori sono della francese Lactalis, acquirente della Parmalat, mentre gli oli Cirio-Bertolli-De Rica sono passati alla Unilever, che poi li ha ceduti alla spagnola Deoleo. E se i salumi Fiorucci sono spagnoli, Grom è olandese ed i cioccolatini Pernigotti attualmente sono in Turchia, mentre l’iconica Birra Peroni è stata fagocitata dal colosso giapponese Asahi Breweries.
Nel campo dell’industria, Italcementi è stata acquisita da HeidelbergCement, Pirelli ha traslocato in Cina, Magneti Marelli è passata ai giapponesi di Calsonic Kansei. Nell’industria dei treni, infine, il made in Italy non esiste più: la Fiat Ferroviaria è controllata da Alstom e AnsaldoBreda è stata venduta alla giapponese Hitachi da parte di Finmeccanica. Per Lamborghini, invece, la nuova casa è in Germania, dove il padrone è il Gruppo tedesco Volkswagen.