Caro bollette, geopolitica, riserve, gas naturale, metano, mercati, elettricità: sembra tutto confuso, e in effetti i rapporti fra questi elementi sono molteplici, ma se osserviamo i dati e la storia non è così difficile capire cosa stia succedendo. Basta andare con ordine

La guerra in Ucraina sta già avendo le sue conseguenze in Italia: le abbiamo trovate in questi giorni nella buca delle lettere e pesano come macigni sull’economia familiare. Sono le bollette di gas ed elettricità. Rispetto ai valori del primo trimestre del 2021, c’è stato un aumento del 42% per la bolletta del gas e del 55%per quella della corrente elettrica.

In queste settimane stiamo vivendo una crisi energetica che ha dimensioni paragonabili a quelle dello shock petrolifero degli anni ‘70. Ad affermarlo è stato Nicola Lanzetta, direttore di Enel Italia, durante un’intervista condotta da Marco Montemagno.

Perché? L’impennata del prezzo dell’energia dipende da un mix di fattori, esogeni e endogeni, che potremmo riassumere con l’invasione russa e la capacità produttiva italiana.

Da dove viene l’energia che usiamo?

In Italia circa il 43% dell’energia viene prodotta nelle centrali termiche a gas, lo stesso che viene anche utilizzato per il riscaldamento o per la cucina. Circa il 90% di questo gas viene comprato all’estero, quindi quando per motivi esterni il suo prezzo aumenta, aumenterà anche il prezzo dell’energia elettrica. Fra i loro prezzi c’è un rapporto di proporzionalità diretta. Di quel gas estero, circa il 40% proviene dalla Russia, che equivale al 38% del totale consumato nel nostro Paese. Una fetta importante, che rende il mercato italiano molto sensibile ai cambiamenti di prezzo operati da Mosca.

Il totale di gas importato nel 2021 è stato infatti di 72.728 milioni di metri cubi, di cui 28.988 milioni provenienti proprio dalla Russia. Al secondo posto fra i nostri fornitori c’è l’Algeria, con 22.584 milioni di metri cubi. Al terzo c’è invece il Qatar, con 6.877 milioni. Si può comprendere quindi come le crisi geopolitiche in Medio Oriente o nell’Est Europa influiscano sul nostro mercato energetico.

A causare l’aumento dei prezzi è stata in primis la crescita della richiesta interna degli ultimi mesi, causata dalla ripresa economica che sta vivendo l’Italia come effetto rimbalzo dopo la crisi scatenata dal Covid. Lo scorso gennaio, il consumo interno lordo di gas naturale è stato pari a 9.733 milioni di metri cubi, di cui 6.468 milioni di importazione, ossia il 3,7% in più rispetto al gennaio 2021. La produzione interna, contemporaneamente, è diminuita del 13,4%, passando dai precedenti 323 milioni ai 279 milioni. Un cambiamento che è stato affrontato anche attingendo alle riserve per 3.165 milioni di metri cubi.

Successivamente, anche la situazione geopolitica ha influito sul prezzo dell’energia, con il rischio dell’interruzione delle forniture (volontario o accidentale, come nell’ipotesi della rottura di un gasdotto durante uno scontro) come sta avvenendo per il Nord Stream 2, ma anche per una scelta stessa della Russia, che in questo momento sta finanziando il suo attacco con il gas naturale.

Metano e altri combustibili

Le conseguenze non si vedono solo in bolletta, ma anche al distributore: un litro di metano ha raggiunto circa i 4 euro al chilo, una cifra esorbitante rispetto al prezzo degli ultimi 10 anni, che era rimasto stabile intorno ad 1 euro al chilo. Il metano, infatti, è un componente dello stesso gas naturale usato per produrre energia o per riscaldare le nostre case.

Contemporaneamente, anche il prezzo medio della benzina a livello nazionale è cresciuto, superando 1,9 euro al litro, mentre quello del gasolio è sopra 1,7 euro al litro. Il prezzo della benzina è legato al Brent, il petrolio estratto nel Mare del Nord, che nei giorni scorsi ha raggiunto quota 140 dollari al barile, vicino ai 147,5 dollari raggiunti nel 2008: anche questa crescita è avvenuta nelle ultime settimane, in concomitanza con l’invasione russa in Ucraina.

La prima crisi, le biciclette e il nucleare

La crisi energetica ricorda quindi quella causata dalla Guerra dello Yom Kippur, nel 1973, quando l’esercito egiziano attaccò Israele durante la festività ebraica. Per sostenere la guerra e colpire i Paesi filo-israeliani, i paesi arabi membri dell’Opec raddoppiarono il prezzo di vendita del petrolio a livello mondiale e diminuirono del 25% le esportazioni. Alcuni bloccarono le loro esportazioni di petrolio verso Stati Uniti e Paesi Bassi per più di un anno, causando un aumento del prezzo del greggio del 300% e un conseguente aumento del carburante.

Per l’Italia fu uno shock, fu l’evento che bloccò la sua crescita economica ed ebbe importanti conseguenze a livello di pianificazione economica. Fu la prima austerity, con gli italiani che lasciavano la loro Fiat 500 nel vialetto inaugurando le domeniche in bicicletta, i programmi televisivi finivano prima e l’illuminazione stradale veniva ridotta. Intanto, il governo varò il primo Piano Energetico Nazionale, che prevedeva un aumento della produzione energetica tramite la fissione nucleare per affrancarsi dall’importazione di petrolio.

Alla fine del decennio, la rivoluzione iraniana capeggiata dall’ayatollah Khomeini portò ad una nuova crisi energetica: la riduzione dell’offerta del petrolio fu solo del 4% a livello mondiale, ma la situazione di instabilità spaventò i mercati e il prezzo del greggio salì fino a raddoppiare.

Saddam e i pozzi in fiamme

Negli anni ’90 fu ancora il Medio Oriente a causare un aumento del prezzo dell’energia con la Guerra del Golfo, scatenata da Saddam Hussein quando le truppe irachene invasero il Kuwait. Anche in quell’occasione, il prezzo dei barili passò da 17 dollari a 46 in un paio di mesi. La coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, che affrontò le truppe irachene, si trovò davanti i pozzi petroliferi in fiamme. Gli incendi erano così grandi che avrebbero potuto durare anni e per spegnerli furono usati gli esplosivi, così da bruciare l’ossigeno intorno all’area di combustione. Con la risoluzione della guerra, il prezzo del petrolio scese lentamente fino a tornare a livelli pre-invasione nel 1994.

Aumento prezzo energia: una soluzione è possibile?

Come già detto, l’andamento del prezzo dell’energia segue logiche endogene e in questo momento è fortemente legato alla situazione in Ucraina, come in passato lo fu con il petrolio dell’Opec. Per l’Italia, che ha una grossa dipendenza dal gas russo e da cui dipendono anche i prezzi dei beni di prima necessità (che sono influenzati dai costi di trasporto), potrebbe essere l’occasione per rivedere le sue politiche economiche e aumentare la propria indipendenza energetica.

L’estrazione di gas dal suolo italiano è fuori discussione: le nostre riserve naturali sono stimate per 70-90 miliardi di metri cubi di gas. Coprirebbero quindi solo il fabbisogno di un anno, se si potessero estrarre in un colpo solo (quando invece è un procedimento che andrebbe spalmato su un decennio e quindi non permetterebbe di diminuire i costi). Inoltre, se volessimo estrarre il gas dal nostro sottosuolo, ci scontreremmo contro l’articolo 8 della legge n 133 del 2008, che prevede il divieto di estrazione nelle acque del golfo di Venezia, uno dei più ricchi. Il motivo è il pericolo di subsidenza, ossia l’abbassamento del suolo. Eppure nell’Adriatico è stimata la presenza di circa 35 miliardi di metri cubi di gas naturale, la metà del totale nel suolo nazionale.

La soluzione, come affermato dallo stesso Lanzetta, sarebbe aumentare la quota di produzione di energia rinnovabile con un nuovo piano energetico nazionale, prendendo esempio dalla crisi del ’73, nonché aumentare la produzione di batterie per lo stoccaggio dell’energia.

Questa soluzione, però, non può essere immediata e le scorte di gas naturale importato di cui disponiamo sono pari a circa 7 miliardi di metri cubi, inferiori alla quota che abbiamo usato nel solo mese di gennaio. Nei mesi invernali abbiamo infatti usato circa 10 miliardi di metri cubi, impoverendo la riserva che ha una capacità massima di circa 17 miliardi di metri cubi di gas.

Insomma, è triste a dirsi ma per ora dobbiamo stringere la cinghia, pagare le bollette e ridurre al minimo i nostri consumi, un po’ come negli anni ’70.

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