L’Antitrust ha multato Amazon per oltre un miliardo di euro: una sanzione molto alta, che potrebbe segnare un cambio di rotta in Europa. Ma quali sono le sue ragioni? È giusto penalizzare gli operatori “troppo grandi” o è meglio guardare al benessere dei consumatori? I punti cruciali di un dibattito ancora aperto.

Partiamo dai fatti: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato una serie di società che fanno capo ad Amazon con una multa da un miliardo e 128 milioni di euro. Come notato anche da commentatori internazionali, si tratta di una delle sanzioni più alte riservate a multinazionali in Europa, ma l’aspetto più importante, come vedremo, non sta nell’ entità della multa. L’accusa è di aver violato l’art. 102 del TFUE (il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), cioè di aver commesso un “abuso di posizione dominante“. In sostanza l’azienda di Jeff Bezos, facendo leva sulla posizione di “assoluta dominanza nel mercato italiano dei servizi di intermediazione su marketplace”, avrebbe favorito il proprio servizio di logistica, chiamato FBA (Fulfillment by Amazon) a discapito dei venditori che non utilizzano i servizi di spedizione (depositi e fattorini) della stessa Amazon. Come consumatori, tutti abbiamo almeno sentito parlare di Prime, attraverso cui possiamo ricevere consegne gratis pagando un abbonamento annuo. Naturalmente, le aziende che vendono su Amazon scegliendo l’opzione Prime hanno maggiori possibilità di vendita, proprio in virtù delle mancate spese di spedizione da parte dei clienti nonché per l’accesso agli “eventi” Amazon come Black FridayCyber Monday e Prime Day. L’Algoritmo A9, con cui tutti noi consumatori facciamo i conti perché personalizza i nostri risultati a seconda delle ricerche, penalizza quei venditori che utilizzano servizi diversi da FBA e che quindi decidono di non avvalersi dei servizi di logistica di Amazon.

Oltre alla multa c’è di più: l’AGCM ha imposto al gigante di Beacon Hill (e non della Silicon Valley, come spesso si legge sulla stampa italiana) anche una serie di regole comportamentali, sul rispetto delle quali vigilerà un monitoring trustee appositamente costituito. “Amazon dovrà concedere ogni privilegio di vendita e di visibilità sulla propria piattaforma a tutti i venditori terzi che sappiano rispettare standard equi e non discriminatori di evasione dei propri ordini, in linea con il livello di servizio che Amazon intende garantire ai consumatori Prime” e inoltre “dovrà definire e pubblicare tali standard e, a far data da un anno dall’assunzione della decisione, astenersi dal negoziare con i vettori e/o con gli operatori di logistica concorrenti – per conto dei venditori – tariffe e altre condizioni contrattuali applicate per la logistica dei loro ordini su Amazon.it, al di fuori di FBA”.

Cos’è un abuso di posizione dominante?

La sanzione dell’Antitrust italiano farà certamente discutere, ma occorre preliminarmente chiarire la nozione di “abuso di posizione dominante“. Come si intuisce già dal nome, a essere vietata non è la generica detenzione di una “posizione dominante” sul mercato, bensì il suo “sfruttamento abusivo“. Si tratta di un concetto non agevole da definire con precisione, soprattutto perché una definizione non è data dal legislatore (l’art. 102 TFUE si limita a fornire un elenco di condotte ritenute abusive), e non mancano incoerenze nella giurisprudenza delle diverse autorità europee. Tuttavia possiamo individuare un concetto chiave per questa fattispecie nella “speciale responsabilità” che grava sulle imprese in posizione dominante: è proprio questa speciale responsabilità che da una parte impedisce di adottare comportamenti generalmente consentiti, mentre dall’altra impone scelte idonee a favorire la concorrenza venuta a mancare o addirittura mai esistita. In altre parole, le scelte di politica commerciale adottate da Amazon sopra descritte sarebbero generalmente consentite per operatori più piccoli, ma vengono vietate all’operatore monstre in virtù dei danni che arrecherebbero alle imprese che non si avvalgono dei servizi di logistica di Amazon e agli altri operatori che forniscono analoghi servizi di trasporto. A fronte di questa decisione appare miope limitarsi a commentare che il miliardo abbondante di sanzione farà poco più che il solletico al gigante di Beacon Hill, mentre è molto più utile affrontare gli interrogativi che essa suscita: si tratta di una sanzione giusta? Quale deve essere il ruolo dell’Antitrust oggi?

Un tema “antico” e attualissimo

In tempi di piena globalizzazione in cui le più grandi multinazionali sono messe spesso sotto attacco dall’opinione pubblica, l’Antitrust è stato spesso chiamato in causa, negli USA ancor più che in Europa, come strumento per mettere un argine a un potere altrimenti illimitato. Peraltro la stessa disciplina della concorrenza nasceva con lo Sherman Act del 1890, contro la Standard Oil di Rockefeller (il “gigante dei giganti” di allora), in un contesto di rivendicazioni “populiste” – termine con un significato diverso e molto più neutro rispetto a quello con cui viene usato oggi, che indica semplicemente la lotta dei piccoli contro i grandi. Non a caso il Presidente degli USA Joe Biden ha nominato al vertice della Federal Trade Commission degli USA la giovane giurista Lina Khan, punta di diamante degli “hipster antitrust” (come viene talvolta definita questa nuova corrente più populista) divenuta celebre per un articolo, pubblicato quando era ancora una studentessa di Yale, che riguardava proprio l’azienda di Jeff Bezos: “Amazon’s Antitrust Paradox“. Ma in cosa consisterebbe questo paradosso dell’Antitrust?

Il dibattito fra “strutturalismo” e “consumer-welfarism”

A grandi linee, il dibattito intercorre fra due posizioni: “structuralism” e “consumer-welfarism” (CW). Come spiegava il Prof. Panunzi (Bocconi), fino al reaganismo lo studio dei mercati si basava sul modello strutturacondottaperformance. In questo schema, “la struttura del mercato, cioè variabili come il numero di imprese operanti nel mercato o la rilevanza delle barriere all’entrata, determina la condotta (ad esempio il prezzo o la quantità prodotta) che, a sua volta, determina la performance (profitti delle imprese, benessere dei consumatori)”. Di conseguenza secondo questa prospettiva più il mercato è concentrato, peggio è: se le imprese sono poche e magari mettono barriere all’entrata del mercato, questo costituisce un problema in sé (ed è per questo che si chiama “strutturalismo”: privilegia la struttura e quindi la concentrazione del mercato). Questo modello entrò in crisi dalla fine degli anni 70, in particolare le idee contenute nel libro di Robert BorkThe Antitrust Paradox” (cui chiaramente faceva riferimento l’articolo sopracitato di Lina Khan, di orientamento opposto). La prospettiva di Bork è detta “consumer welfarism” perché mette al centro non la struttura (quindi il grado di concentrazione) del mercato, bensì il benessere dei consumatori. Secondo questa prospettiva, se un’impresa innovatrice diventa molto più efficiente delle altre, abbassa i prezzi, guadagna quote di mercato (aumentando così la concentrazione) e offre un miglior servizio a prezzi inferiori, per quale motivo ciò dovrebbe essere un male? Semplificando, da una parte c’è chi dice: “avere troppe poche imprese troppo dominanti è un problema di per sé“; dall’altra c’è chi dice “bisogna guardare a ciò che conviene ai consumatori“. E il problema si ripropone naturalmente oggi con colossi come Amazon, come abbiamo visto al centro anche dell’articolo di Lina Khan.

Il commento di Amazon

Quali che saranno gli sviluppi teorici della materia, naturalmente non si è fatto attendere il commento di Amazon alla importante sanzione dell’AGCM, che si presta a critiche ma rischia di segnare un cambio di rotta a livello continentale. Il colosso si è dichiarato in profondo disaccordo e ha annunciato che farà ricorso: “più della metà di tutte le vendite annuali su Amazon in Italia sono generate da piccole e medie imprese, e il loro successo è al centro del nostro modello economico. Le piccole e medie imprese hanno molteplici canali per vendere i loro prodotti sia online che offline: Amazon è solo una di queste opzioni. Investiamo costantemente per sostenere la crescita delle 18mila piccole e medie imprese italiane che vendono su Amazon e forniamo molteplici strumenti ai nostri partner di vendita, anche a quelli che gestiscono autonomamente le spedizioni”. Lo scontro appare quasi politico: la lotta contro i giganti in virtù della loro speciale responsabilità; la replica dei big che rivendicano la loro utilità anche per tantissime piccole e medie imprese. Ultimi ma non ultimi i consumatori che, antitrust permettendo, continueranno a “votare” con i propri acquisti quotidiani.

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