Potremmo definirla una streaming war a tutti gli effetti, considerando come cambia in fretta il mercato on demand e com’è difficile stare al suo passo, anche per chi ne ha costruito le fondamenta. Dall’interesse di Netflix ad integrare le pubblicità nel piano d’abbonamento alla nascita di nuove piattaforme come Paramount+, ad oggi l’utente riceve tantissimi stimoli, talvolta anche controproducenti. Avere così tanta scelta è davvero positivo come sembra?
Oggi il mondo dell’intrattenimento fa affidamento soprattutto sulle piattaforme streaming. Che si tratti di una serie TV, un documentario o un film da grande schermo, tutto prima o poi arriva a portata di click. Basti pensare alle grandi distribuzioni, pellicole pensate per il cinema e poi, dopo pochi mesi, già diffuse on demand. Se da un lato questa scelta può lasciare intendere che ci sia una sorta di sabotaggio in corso nei confronti del cinema, dall’altro invece bisognerebbe intendere lo streaming come un salvagente.
Se un film al cinema non riscuote successo, perché non provare a lanciarlo sulle piattaforme? In questo caso non importa il botteghino, ma le visualizzazioni. C’è stato un tempo in cui Netflix ha avuto campo libero. Oggi, invece, la streaming war è in corso ed è un duello a tratti silenzioso che vede in campo tantissime piattaforme diverse, il cui obiettivo però è lo stesso: offrire agli utenti il migliore intrattenimento possibile. Ma come si è evoluto questo settore negli anni? E come sta cambiando, anche qui in Italia?
Perché Netflix ha bisogno di pubblicità
Un primo passo per capire quello che sta succedendo oggi nel settore streaming è capire la direzione presa da Netflix. Colosso del settore, è arrivato in Italia- e generalmente in Europa – con una vasta offerta per il pubblico. Prima di Netflix, infatti, nel nostro paese soltanto Sky aveva tentato di offrire contenuti accessibili via streaming (pensate a Sky Go, ancora oggi attivo ma che dieci anni fa era uno dei pochissimi strumenti per recuperare gli episodi già andati in onda). Prima ancora dello sviluppo delle piattaforme on demand, è stata la volta dei DVD, preceduti dalle fedelissime VHS che hanno portato il cinema a casa.
Oggi qualcuno potrebbe definirli pezzi d’antiquariato, a dimostrazione del fatto che il mercato è cambiato e il merito va all’avanzamento tecnologico. Facendo puro affidamento sul supporto online (e quindi Internet), oggi Netflix ha costruito un impero che segue regole diverse, quasi sue. Non è un caso che molte pellicole nascano unicamente per essere poi distribuite in streaming, evitando il passaggio nelle sale. Una scelta divisoria, che tuttavia ha dato i suoi frutti e che ha permesso a Netflix di diventare l’impero on demand che oggi conosciamo.
Ma anche l’impero più florido ad un certo punto deve fare i conti con una minaccia importante. In questo caso, è la concorrenza a minare il business di Netflix. Per questo, il colosso dello streaming sta variando la sua offerta dimostrandosi più flessibile ed incline al cambiamento. Da novembre, ad esempio, ha inserito per gli italiani una nuova tipologia di abbonamento che include le pubblicità: più pause per gli utenti corrispondono ad una diminuzione di costi al mese. Una scelta dettata dal drastico crollo avvertito nei primi due trimestri dell’anno: il primo segnato da meno 200mila abbonati, il secondo da quasi 1 milione. Più che un escamotage, Netflix ha tirato il suo asso nella manica. E così spera di attirare l’interesse di più abbonati.
Streaming, in Italia anche Paramount+
Non c’è da stupirsi che Netflix abbia dovuto affilare i denti. Il mare è pieno di pesci, per non parlare di squali che puntano alla stessa preda. Le piattaforme streaming sono un fenomeno in ascesa e l’offerta si amplia sempre più. In Italia, nell’arco di pochi anni, non è subentrato soltanto Netflix, ma anche Prime Video, Disney+, Apple TV, NOW e adesso anche Paramount+.
Hollywood ha ormai messo gli occhi sull’affascinante settore dell’intrattenimento on demand, e per questo non dovrebbe stupire l’interesse manifestato da parte di uno degli Studios cinematografici più antichi sulla piazza. Oggi Paramount ha finalmente una piattaforma tutta sua, con contenuti originali presentati da pochissimo anche in Italia, ed è pronta a dare del filo da torcere alle altre realtà concorrenti. A differenza di Netflix, poi, e seguendo l’idea di Prime Video e Disney+, anche Paramount+ha offerto un abbonamento annuale ed un breve periodo di prova per i nuovi utenti.
È sano avere tutta questa scelta (streaming)?
Considerando l’evoluzione di questo settore e le proposte che ogni giorno lo inondano, avere tutta questa scelta è positivo? Quanti utenti potrebbero contare su un abbonamento per ogni piattaforma? E quante piattaforme finiscono per essere penalizzate dalla concorrenza? L’offerta è vasta e articolata – forse, in alcuni casi, anche troppo – e i costi del settore talvolta hanno ripercussioni sugli utenti, com’è accaduto a Prime Video di recente (l’abbonamento annuale, che include tutti i pregi di Prime, è passato da 36 a 50 euro). Una famiglia può permettersi così tanti abbonamenti diversi soltanto per guardare un po’ di Tv?
Una risposta obiettiva sarebbe questa: è impossibile sottoscrivere così tanti abbonamenti diversi in modo omogeneo. E questo non dipende soltanto dalla disponibilità economica, ma anche dall’interesse del singolo utente. Non tutte le piattaforme, infatti, generano contenuti di interesse generale.
News Corp e Fox di nuovo insieme per contrastare i colossi
Per non restare indietro e riuscire a competere su questo mercato, Rupert Murdoch starebbe valutando un nuovo matrimonio economico. Pare che il magnate australiano abbia intenzione di riallacciare News Corp e Fox Corp, un tempo unite nella stessa corporation poi smantellata nel 2013 in seguito ad alcuni scandali che avevano travolto l’imprenditore.
Qual è quindi l’idea di Murdoch? Al momento possiede il 42% di azioni Fox Corp e il 39% di News Corp: mettendole insieme, unirebbe case editrici, testate, società immobiliari e anche network sotto un’unica grande realtà, ricostituendo un vero e proprio impero di circa 26 miliardi di dollari.
Al momento si tratta di indiscrezioni che ha fatto trapelare il Wall Street Journal, testata che fa parte dell’impero mediatico di Murdoch, il che ha dato alla notizia una sorta di ufficialità inespressa. Staremo a vedere come si amplierà l’interesse e se il miliardario, alla veneranda età di 90 anni, riuscirà a ricostruire l’impero dalle sue ceneri dando a Netflix e alla concorrenza streaming pane per i loro denti. La domanda che in realtà dovremmo porci è: abbiamo davvero bisogno dell’ennesimo impero multimediale che presto o tardi cederà al fascino dell’on demand?
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