ChatGPT in Italia ha momentaneamente chiuso i battenti. Mentre OpenAI sta cercando di capire come tornare dai suoi utenti italiani, il resto del mondo ha già messo in piedi due varianti rivali del chatbot intelligente. La prima arriva da Google, mentre la seconda rivale è Made in Cina. Conosciamo Bard ed Ernie

In Italia ChatGPT non è più attivo, almeno per il momento. Il servizio di intelligenza artificiale generativa americano non risulta più raggiungibile nel nostro paese, come prontamente segnalato dall’azienda che l’ha realizzato, OpenAI. E mentre il servizio finisce in pausa, almeno per noi italiani, il resto del mondo continua ad approfondire lo spunto lanciato da ChatGPT, tanto da creare alcune varianti, o meglio rivali. La prima, già annunciata da tempo, è quella messa in piedi da Google. La seconda, più recente, invece arriva dalla Cina.

 

Perché ChatGPT non è più attivo (momentaneamente) in Italia

Prima di approfondire il fascino di ChatGPT e il perché ha così stuzzicato la concorrenza da guadagnarsi già delle rivali, soffermiamoci sul perché ChatGPT al momento in Italia non è raggiungibile. Il servizio è stato messo in pausa dal Garante per la protezione dei dati personali. OpenAI è la società americana che gestisce ChatGPT, e al momento soltanto in Italia è stata aperta un’istruttoria chiedendo con effetto immediato la limitazione provvisoria del trattamento dei dati degli utenti italiani. Una notizia ripresa un po’ ovunque, anche dalla BBC e il New York Times, considerando che ChatGPT è un servizio noto in tutto il mondo. Il software di intelligenza artificiale è stato quindi sospeso in Italia finché la normativa sulla privacy non verrà rispettata. Intanto, dal suo punto di vista, OpenAI ha dichiarato a Wired:

Siamo impegnati a proteggere la privacy delle persone e riteniamo di aver rispettato il Gdpr e altre leggi sulla privacy. Siamo attivamente impegnati a ridurre i dati personali nell’addestramento dei nostri sistemi di Ai come ChatGPT perché vogliamo che le nostre Ai imparino informazioni sul mondo, non rispetto a singoli individui.

Il succo della questione è che, secondo il Garante, l’Open AI utilizzerebbe senza consenso i dati personali degli utenti per addestrare il suo algoritmo. L’azienda americana, dal suo punto di vista, ha precisato di operare nella trasparenza delle leggi, quindi rispettandole, e anzi ha garantito a Wired che gli utenti italiani utilizzano ChatGPT per attività quotidiane e sperano di poter ripristinare il servizio il prima possibile.

 

La versione Google di ChatGPT

E mentre ChatGPT cerca di ripristinare il suo operato anche in Italia – l’unico paese al mondo ad aver contrastato l’intelligenza artificiale per questioni di privacy – Google prepara la controffensiva. Se da un lato Bill Gates e la sua Microsoft sembrano essere pronti ad investire ampiamente in ChatGPT (con dieci miliardi di dollari, secondo alcune voci di corridoio), dall’altro Google sta lavorando ad una sua versione di chatbot. Il suo nome è Bard e si presenza a sua volta come un chatbot intelligente di ultima generazione basato su LaMDA (Language Model for Dialogue Applications). L’idea di fondo è rendere Google ancora più efficiente. Spesso, infatti, gli utenti cercano risposte a domande semplici, ma che necessitano di maggiori approfondimenti. Per questo un chatbot intelligente permetterebbe di ricevere risposte efficienti ed approfondite. Il CEO di Google Sundar Pinchai ha spiegato per sommi capi qual è l’idea dell’azienda a tale proposito:

Nella fase di ricerca saranno disponibili funzioni basate sull’intelligenza artificiale. Le persone spesso si rivolgono a noi per ottenere risposte rapide e concrete. Ad esempio vogliono sapere: ‘Quanti tasti ha un pianoforte?’. Ma sempre più utenti chiedono maggiori approfondimenti e rivolgono domande del tipo: ‘È più facile imparare a suonare il pianoforte o la chitarra? E quanta pratica è necessaria?’. L’intelligenza artificiale può essere utile in questo senso.

Immaginiamo quindi di effettuare una ricerca su Google, ma questa volta interagendo con una chat intelligente alla quale rivolgere tutte le nostre perplessità in merito ad una specifica ricerca. Secondo i primi feedback, Bard è in grado di restituire tre risposte ad una singola domanda, ma mette in conto di poter commettere errori di tanto in tanto.

 

Ernie, la versione cinese di ChatGPT

Oltre al rivale in casa Google, ChatGPT deve guardarsi le spalle anche dalla concorrenza cinese. È infatti in arrivo un altro chatbot intelligente, ma cinese: il suo nome è Ernie, Weixin in cinese. Nato e perfezionato dopo decenni di duro lavoro a detta del CEO di BaiDu (motore di ricerca cinese) Robin Li, Ernie è stato presentato sul mercato contemporaneamente ad una nuova versione di ChatGPT. GPT-4, infatti, consente di gestire testi da 25mila parole e anche immagini. Dal suo canto, Ernie si propone soprattutto sul mercato cinese dove si aspetta di riscuotere maggiore successo. Al momento della presentazione (una memo avvenuta via slide e non dal vivo come invece ci si aspettava), Ernie ha mostrato il suo potenziale: ad esempio è in grado di scrivere il sequel del romanzo “Il problema dei tre corpi” oppure risolvere il rompicapo “galline e conigli”, così come scrivere una poesia.

Dal suo punto di vista, Robin Li ha spiegato di essere consapevole che Ernie non è perfetto. Quindi perché hanno voluto proseguire comunque con il lancio? “Abbiamo visto la domanda del mercato”, ha precisato. In sintesi, ciò che rende simili ChatGPT, Bard e Ernie è la loro imprevedibilità. Tutti e tre i chatbot intelligenti possono commettere errori, ma al tempo stesso possono facilitare la ricerca degli utenti in merito a particolari argomenti.

Al momento non è chiaro cosa succederà in Italia con ChatGPT, né come si evolveranno le rivali di Google e Cina. Quel che sembra essere certo è che, nell’arco di pochissimo tempo, probabilmente non potremo più fare a meno di queste intelligenze artificiali così servizievoli, a portata di click, pronte a rispondere ad ogni singolo dubbio della mente umana (nei limiti del possibile). Resta da chiedersi, a questo punto, se la privacy sia quindi l’unico aspetto di cui dovremmo preoccuparci.

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