Spesso commettiamo l’errore di pensare che la professione che svolgiamo ci identifichi anche in quanto individui. Ma quante persone possono dire di aver visto riconosciuto il proprio valore sul lavoro? Oggi per le aziende adottare una cultura che metta al centro i  dipendenti – che prima di tutto sono persone – è una strategia vincente sul lungo termine ancora troppo sottovalutata

 

È delle ultime settimane la notizia che Netflix, il colosso statunitense dello streaming che conta 160 milioni di abbonati in 190 Paesi, ha avuto il suo primo crollo in Borsa: a gennaio, infatti, l’azienda aveva comunicato una previsione – forse troppo ottimistica – agli investitori, dicendo che si aspettava di aggiungere 2,5 milioni di abbonati nel secondo semestre dell’anno, provocando così un sell-off che ha fatto scendere quasi del 30% il prezzo delle sue azioni. Ma, al di là di questa difficoltà, Netflix continua a rappresentare l’80% del mercato dello streaming e anche un modello particolarmente virtuoso per quanto riguarda l’organizzazione aziendale e il modo in cui viene gestito il personale. A partire dagli anni ’10 di questo secolo, infatti, proprio Netflix si è fatta portatrice di una cultura basata sul senso di responsabilità dei dipendenti e sulla loro libertà: si tratta della cosiddetta Freedom & Responsability, un’espressione che chi lavora per questa azienda usa così tanto da abbreviarla in F&R.

Reed Hastings, CEO di Netflix, nel suo libro No Rules Rules – L’unica regola è che non ci sono regole ha parlato dei punti cardine di questa cultura, spiegando l’importanza per la company californiana di mettere al centro le persone e non (solo) i processi aziendali, del fare innovazione e di non guardare solo all’efficienza: un sistema che fa sì che la società possa continuare ad evolversi, ad aumentare la produttività dei suoi dipendenti, a restare competitiva e ad evolversi tramite la crescita delle persone che ne fanno parte.

 

La libertà che genera responsabilità (e fa bene alla produttività)

Secondo il CEO di Netflix “la libertà non è l’opposto della responsabilità”, ma un percorso verso di essa. La libertà, in questo senso, viene data proprio per generare responsabilità, che nel lungo periodo porta ad un incremento della produttività. Anche Erin Mayer, scrittrice americana, professoressa alla INSEAD Business School e co-autrice del libro di Hastings ha sottolineato come l’approccio No Rules Rules abbia dimostrato che quando le persone vengono valorizzate, incoraggiate e responsabilizzate tendono ad avere prestazioni più elevate sul posto di lavoro.

Quante realtà conosciamo oggi in Italia disposte a incoraggiare i dipendenti a sperimentare il fallimento e a lavorare sulle competenze mantenendo la propria personalità e, quindi, unicità? Sulla carta moltissime realtà – dalle startup alle pmi fino alle grandi aziende – sembrano adottare un approccio di questo tipo, quindi attento ai bisogni individuali e al benessere a 360 gradi dei lavoratori ma, in concreto, nel nostro Paese vediamo ancora organizzazioni con una gerarchia molto rigida e in cui si tende a valorizzare una cultura che premia il sacrificio, la miglior performance e il desiderio di scavalcare gli altri.

Premiare il fallimento resta un miraggio: al contrario, la tendenza è ancora quella di condannare gli errori delle persone e di valutarle solo in base ai successi raggiunti e ai risultati di carriera; sono questi infatti, nella maggior parte dei casi, a definire il prestigio sociale di un individuo e il suo valore, finendo così per definirne l’identità nel complesso. Secondo Hastings, inoltre, in azienda vanno incoraggiati il dibattito e i momenti di condivisone, in modo tale che ciascuno si senta libero di fare osservazioni e proposte e che si crei un’atmosfera di trasparenza e sincerità tra management e dipendenti.

 

Il growth mindset e i nuovi bisogni delle persone nell’era post-industriale

Dall’esempio di Netflix è evidente come un’azienda che mette al centro le persone e incoraggia una mentalità della crescita (growth mindset), dove il fallimento non definisce l’individuo ma viene visto come un’esperienza che fortifica e insegna, sia un modello decisamente auspicabile.

Riuscire ad abbandonare una mentalità ossessionata dall’eliminazione degli errori e caratterizzata da quello che in inglese viene definito industrial era hangover – ovvero i postumi dell’era industriale – in cui le persone si sentono costrette ad andare contro la propria natura anziché esprimerla, non è semplice. Provarci, però, è ormai un imperativo e riuscirci una necessità, anche e soprattutto per la talent retention: i più creativi e talentuosi, infatti, hanno bisogno di un contesto che li stimoli e li arricchisca, oppure saranno sempre pronti ad abbandonarlo.

Nell’era industriale lo scopo era ridurre al minimo la variazione, ma oggi nelle aziende è essenziale massimizzarla per soddisfare anche l’eterogeneità dei bisogni dei clienti. E aumentare, così, i propri guadagni. Sempre Hastings sostiene infatti che “uniformità e ripetitività hanno più possibilità di annientare il pensiero innovativo che non di portare profitti”.

Culture aziendali come quella di Netflix, che ha introdotto una non trascurabile rivoluzione nell’impostazione del lavoro, spesso devono fare i conti con barriere culturali e muri di sfiducia nel considerare il dialogo, la libertà e la responsabilità – appunto – come i veri e più efficaci strumenti di crescita. Sotto questo punto di vista – nonostante sia ancora ben radicato un certo individualismo ottocentesco – l’Italia sta facendo dei passi avanti per andare incontro all’urgenza di mettere al centro l’emancipazione dell’individuo, nel lavoro, nell’economia e nella società.

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