Se diversificare gli investimenti è diventato un imperativo categorico, la scoperta di nuovi mercati oggi fa la differenza. E investire nell’arte può rivelarsi una mossa utile sotto molti punti di vista

In momenti di grandi cambiamenti e incertezze è caccia a investimenti alternativi e diversificati. Tra i tanti spicca l’invito degli advisor a investire nell’arte, un settore che secondo gli esperti sta crescendo sempre di più.

Se parliamo di opere d’arte parliamo di investimenti complessi non solo dal punto di vista strettamente finanziario, ma anche perché si tratta di beni da tutelare e valorizzare, che sono anche beni rifugio in grado di superare il mattone ed eguagliare l’oro.

Il mercato dell’arte

Se si desidera investire nell’arte, bisogna tener conto di alcuni fattori fondamentali. Innanzitutto, è bene ricordare che il mercato dell’arte è definito “illiquido”, perché presenta livelli di rischio difficili da monitorare, è alimentato da informazioni privilegiate e conflitti d’interesse ed è mosso da una cerchia ristretta di persone. Inoltre, quello dell’arte è un mercato unico nel suo genere.

L’arte non può essere considerata alla stregua di un qualsiasi altro investimento: i suoi tempi non lo consentono, il suo valore non è determinato soltanto da fattori intrinseci (autore, periodo, unicità, soggetto, dimensioni, stato di conservazione, attribuzione, provenienza, pubblicazioni e critica, certificazione museale, ecc.), ma anche da elementi esterni variabili come la piazza d’offerta, la velocità di scambio, le modalità di vendita, la regolamentazione fiscale e il diritto alla circolazione, il gusto del momento e la liquidità sui mercati finanziari.

Insomma, per investire nell’arte è essenziale essere informati. Per questo molti ricercano informazioni privilegiate e si affidano alle gallerie d’arte o agli art advisor. Certo, anche scommettere su un artista emergente può rivelarsi un ottimo investimento, ma in questo caso va da sé che i rischi sono più elevati.

Investire nell’arte contemporanea

Il trend in atto sul mercato dell’arte punta decisamente verso quella contemporanea. Basti pensare che, secondo i dati dell’Art Price Report, oggi l’arte contemporanea rappresenta il 15% del fatturato globale delle aste di Belle Arti e il mercato ha registrato una crescita del 2.100% negli ultimi 20 anni.

Inoltre, l’arte contemporanea si sta dimostrando un asset di investimento alternativo perché sta affrontando notevoli cambiamenti negli ultimi anni. In primis, i nuovi investitori sono millennial che preferiscono acquistare online grazie a piattaforme dedicate. Questo fa sì che le vendite di opere d’arte contemporanea hanno il potenziale per cambiare radicalmente nei prossimi anni, lasciando sempre meno spazio alle case d’asta e aprendosi ad una nuova era digitale.

Già nel 2019 il report di Hiscox online art trade, che monitora le piattaforme di acquisto via web più affidabili, ha evidenziato come il trend digitale sia in forte crescita anche se non del tutto esploso. Infatti, le case d’asta sono considerate ancora gli intermediari più attendibili, ma i marketplace si stanno pian piano facendo largo.

I vantaggi fiscali

In linea di massima, investire nell’arte presenta notevoli vantaggi anche dal punto di vista fiscale. Ma bisogna fare molta attenzione alla differenza (a volte molto sottile) tra la figura del “collezionista” e quello del “mercante d’arte”.

Secondo la giurisprudenza, il “collezionista” è un soggetto che acquista e cede opere d’arte per soddisfare un proprio interesse individuale che, in genere, è di tipo culturale ma talvolta anche patrimoniale. Invece, il “mercante d’arte” è colui che in modo imprenditoriale o professionale commercia in oggetti d’arte allo scopo di trarne un profitto.

Nel primo caso, all’operazione di compravendita viene riconosciuta una irrilevanza fiscale e non richiede una organizzazione in forma di impresa. Questo vuol dire che non si pagano tasse sulle plusvalenze della compravendita di opere d’arte e non viene tassata la quota del patrimonio investita in opere d’arte. Questa infine non deve neanche rientrare nella dichiarazione dei redditi

Nel secondo caso invece, trattandosi di un’attività professionale che genera profitto saranno applicabili le canoniche regole di tassazione delle attività commerciali.