Perché si parla di intelligenza emotiva e quanto è importante per migliorare le attività lavorative e sociali?

Avete mai sentito parlare di intelligenza emotiva? Si tratta di un aspetto dell’intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni.

Trattata per la prima volta nel 1990, nel tempo è diventata una capacità molto richiesta e apprezzata in diversi settori, poiché permette alle persone di gestire al meglio la vita affettiva, i rapporti sociali e perfino quelli lavorativi.

I professori Peter Salovey e John D. Mayer, che per primi l’avevano teorizzata, nel loro articolo “Emotional Intelligence” definivano l’intelligenza emotiva come “La capacità di controllare i sentimenti ed emozioni proprie ed altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni“. Essa inizialmente era composta da tre rami principali: valutazione, regolazione e utilizzo delle emozioni.

Studi più recenti ne hanno aggiornato la definizione, e il tema dell’intelligenza emotiva ha iniziato ad essere utilizzato e studiato sia in ambito psicologico che in ambito organizzativo/aziendale. “L’intelligenza emotiva coinvolge l’abilità di percepire, valutare ed esprimere un’emozione; l’abilità di accedere ai sentimenti e/o crearli quando facilitano i pensieri; l’abilità di capire l’emozione e la conoscenza emotiva; l’abilità di regolare le emozioni per promuovere la crescita emotiva e intellettuale“.

In generale, oggi l’intelligenza emotiva si articola in cinque abilità fondamentali:

  • Conoscere le proprie emozioni;
  • Monitorare le proprie emozioni;
  • Motivare se stessi;
  • Riconoscere le emozioni negli altri;
  • Gestire le relazioni con gli altri.

L’intelligenza emotiva è utile (anche) per avere successo nel lavoro

Ma perché l’intelligenza emotiva è diventata un argomento caldo anche quando si parla di lavoro? La risposta sta nel fatto che per avere successo non basta l’intelligenza “canonica”, ovvero la capacità di far quadrare i conti e rispettare le scadenze. Quelli sono fattori importanti, ma per portare far crescere un’azienda, per innovare e trasformarsi serve anche altro. Ed ecco che subentra quella che in gergo viene definita “leadership” e che è strettamente collegata all’intelligenza emotiva.

Infatti, se non si sanno riconoscere e gestire le proprie emozioni, non si potranno gestire quelle degli altri. Inoltre, non bisogna dimenticare che la vita personale e professionale di ognuno di noi è fatta di emozioni, che si trasformano poi in strumenti molto potenti. Ad esempio, un’emozione negativa mal gestita può innescare meccanismi deleteri verso tutti gli interlocutori, con gravi ripercussioni sulla qualità e la quantità del lavoro.

Se riusciamo a comprendere l’origine delle nostre emozioni e a gestirle in maniera positiva, riusciremo ad essere in sintonia con i nostri colleghi, superiori e dipendenti. Insomma, gestire le emozioni migliora il nostro lavoro, specie se si tratta di un lavoro di squadra. Ancora, con la globalizzazione, l’intelligenza emotiva occupa un ruolo ancora più centrale poiché è aumentata la complessità delle interazioni e delle emozioni, cosi come il modo in cui sono espresse. In sostanza, l’intelligenza emotiva nei luoghi di lavoro si riconduce ad una corretta comprensione, espressione e gestione dei buoni rapporti e alla risoluzione di problemi complessi sotto pressione.

La differenza tra “capo” e “leader”

Se c’è una figura che più delle altre deve far affidamento all’intelligenza emotiva è quella del capo. O meglio, del leader. Come scrive l’esperto Daniel Goleman, «i leader talentuosi emergono là dove cuore e testa, emozioni e pensiero, si incontrano». Essere a capo di una squadra o di un’azienda vuol dire essere in grado di gestire pensieri ed emozioni differenti, spesso in contrasto tra loro. Ma, scavando ancora più a fondo, essere a capo, vincere, avere appeal sono più che altro conseguenza di altri fattori che determinano realmente l’essere leader.

Spesso tendiamo a confondere i due termini. Eppure, esiste una differenza sostanziale tra il capo e il leader. Se il primo dirige, il secondo istruisce. Se il capo comanda, il leader domanda. Insomma, il vero leader deve essere in grado di creare quell’armonia perfetta tra tutti i suoi collaboratori, generando entusiasmo e dando fiducia, così da permettere anche una crescita maggiore.

Va da sé che per entrare in sintonia con il proprio team un leader dovrà essere dotato di una buona dose di intelligenza emotiva, al fine di comprendere e gestire al meglio tutte le emozioni che incontrerà durante il percorso, siano queste positive o negative. Imparare a riconoscere le emozioni e trasformarle in stimoli per migliorare il lavoro è la chiave del successo.