Sono “nativi” nel senso che sono nati e cresciuti nel digitale, un terreno che si è rivelato particolarmente fertile già da qualche anno e che, con l’arrivo della pandemia, ha poi dimostrato di essere quello su cui i brand devono puntare sempre di più (soprattutto se, con questa crisi, vogliono rimanere a galla).

I Digital Native Vertically Brand, espressione di quello che negli States viene definito come v-commerce o e-commerce 2.0, sono appunto i brand nativi digitali, il cui business ha preso le distanze da quel retail fisico che – oggi più che mai – naviga in cattive acque (ma con il quale, comunque, sono nate buone sinergie).

Il fenomeno dei DNVB è partito con grandi colossi come Amazon e Asos, primi veri detentori dell’expertise digitale: sono loro ad aver, in sostanza, lanciato questo modello che però, in pochi anni, molte aziende hanno fatto proprio o cercato di adottare. Un conto, però, è nascere digitali e un conto è diventarlo.

L’origine del termine DNVB si deve a Andy Dunn, founder del brand di menswear Bonobos, uno dei primi brand verticalmente digitali. Si tratta di un business destinato a scrivere il futuro di moltissimi brand, soprattutto quelli di moda; questo, come tanti altri comparti, è uscito fortemente indebolito dal 2020 e la necessità è quella di riprendere forza e vigore guardando a nuovi orizzonti commerciali.

Rispetto ad un e-commerce tradizionale, un v-commerce può avere un margine commerciale superiore al doppio (65% contro il 30%). Gli elementi che rendono vincenti i DNVB sono la possibilità di sfruttare a loro vantaggio la Customer Intimacy – cioè la vicinanza al loro cliente – e la loro capacità di fornire una customer experience altamente personalizzata. Ma quali sono i principali brand nativi digitali e perché hanno successo?

 

Cosa e quali sono i brand nativi digital

I brand nativi digitali – o DNVB (Digital Native Vertically Brand) – sono business nati e cresciuti online. Hanno una forte identità digitale e sanno fare un sapiente uso delle nuove forme di comunicazione. Digitali, appunto.
I DNVB nascono come vere e proprie realtà direct-to-consumer e gestiscono in completa autonomia l’intera filiera produttiva, dal fornitore al consumatore finale.

 

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Il modello di business

Il loro modello è vincente perché basato sul rapporto diretto con i consumatori: detengono il controllo diretto su tutta la filiera di produzione, che può essere in-house o demandata a partner di fiducia.
Il brand viene costruito grazie alla combinazione di prodotto, shopper experience e customer service (tutti online).
Il vero elemento chiave è però la distribuzione, di cui hanno la gestione diretta. In questo modo dispongono di un maggiore controllo:

    • sullo storytelling del brand
    • sulla ricezione dei dati riguardanti i consumatori

Altra caratteristica che rende i DNVB vincenti è il rapporto con il consumatore, che si sviluppa e mantiene soprattutto attraverso i social network. Questi, infatti, permettono di intessere un rapporto one to one.

Quali brand nativi digitali conosciamo? Eccone una lista:

  • Warby Parker (eyewear)
  • Everlane (abbigliamento)
  • Veralab (cosmetica)
  • GCDS (abbigliamento streetwear)
  • Lanieri (abbigliamento uomo su misura)
  • Velasca (calzature made in Italy)
  • Tela Blu (abbigliamento maschile)
  • Bonobos (abbigliamento maschile)
  • Dollar Shave Club (prodotti per la cura della persona)
  • Sézane (abbigliamento)
  • Frenzlauer (accessori per donna)

Il fenomeno dei DNVB si lega, inevitabilmente, a quello dei blogger e influencer della moda. Possiamo riportare più di un esempio di influencer che hanno lanciato i proprio brand facendo leva sul loro successo social:

  • Chiara Ferragni (Chiara Ferragni Collection)
  • Mariano Di Vaio (Mariano Di Vaio Collection)
  • Filippo Cirulli e Filippo Fiora (Edhèn Milano)

I brand digitali, con le loro strategie, sono riusciti anche a sbarcare nel mondo del retail fisico, creando ottime sinergie.