In Italia solo 1 azienda su 5 rispetta i parametri dell’inclusività e questo dipende soprattutto da una cultura aziendale obsoleta, incapace di costruire modelli di business maggiormente inclusivi. Ma il rischio di non rispettare questi parametri non solo pesa sulla reputazione dell’azienda, ma anche sulla fedeltà dei nuovi consumatori
Diversità e inclusione stanno rivestendo sempre più un ruolo fondamentale nella percezione del brand da parte dei consumatori. Un’azienda inclusiva, che punta sulla diversity, è infatti percepita come giusta, onesta, ma anche moderna e, per questo motivo, meritevole di un maggior livello di fiducia.
Non si tratta solo di reputazione del brand, ma anche di fatturato: le aziende che nella loro cultura offrono un reale impegno di Diversity & Inclusion registrano anche migliori performance economiche, perché sanno raggiungere e condividere con i propri clienti dei valori, comprendendone le aspettative.
Alcuni esempi di aziende inclusive
In uno spot della Apple del 2013 che promuoveva l’ultimo modello di iPad mini, l’azienda dei melafonini ha puntato su un concetto “implicito” di inclusività, cioè che la tecnologia può avvicinare diverse generazioni. Così ha portato sul piccolo schermo una giovane ragazza che registra una canzone, accompagnata da immagini della sua famiglia, un regalo di natale che poi sua nonna avrebbe visto proprio grazie all’iPad.
O ancora, sotto la spinta di tante associazioni per i diritti delle minoranze, LEGO di recente ha introdotto alcuni personaggi dalla pelle più scura e più chiara, oltre ad aver annunciato di voler rimuovere anche qualsiasi pregiudizio di genere dai giocattoli, eliminando quelle etichette – “questo giocattolo è per bambini” – che tanto erano evidenti sulla confezione fino a 10 anni fa.
Nel nuovo spot della Philip, invece, ci sono due papà, e l’intento è quello di prendere una posizione ben precisa sul dibattuto tema dell’omogenitorialità. Esattamente come fece Ikea per inaugurare nel 2011 la nuova sede di Catania; in quella campagna pubblicitaria c’era scritto: “siamo aperti a tutte le famiglie”.
L’inclusione e la diversità nelle aziende italiane
Rispetto ai precedenti e virtuosi esempi, occorre precisare che sono soprattutto le aziende straniere a fare dell’equità una loro bandiera, mentre l’Italia resta ancora fanalino di coda: in America, per esempio, già dal 2010 le aziende con un sito di e-commerce hanno iniziato a rendere disponibili agli utenti ipovedenti audio-descrizioni dei contenuti video per garantire l’accessibilità del sito a persone diversamente abili.
In Italia invece – come conferma il Diversity Brand Index – bisogna ancora mettere in campo un reale modello inclusivo: solo 1 azienda su 5 risulta impegnata realmente nei temi della diversità e dell’inclusione. Tuttavia questo è un problema che coinvolge tutti, non solo il nostro Paese, anche perché senza puntare sui temi della diversità e dell’inclusione le aziende risultano essere meno competitive.
Cosa dice lo studio di Microsoft sulle aziende inclusive
Secondo uno studio condotto da Microsoft dal titolo The psychology of inclusion and the effects, i giovani appartenenti alla generazione Z hanno smesso di fare acquisti da brand che non rispecchiano questi valori, perché lo shopping non è più solo un acquisto, ma un momento da condividere con una “community”, un gruppo di clienti che si ritrovano nella filosofia aziendale promossa proprio da quel brand.
Nello specifico, lo studio condotto da Microsoft ha rivelato che il 70% dei giovani appartenenti alla generazione Z ha dichiarato di fidarsi maggiormente di brand che rappresentano la diversità, mentre il 49% ha affermato di aver smesso di comprare da marchi che non rispettano i valori in cui credono.
Per un’azienda, quindi, scommettere sull’inclusione conviene, quando diventa una realtà tangibile: se i clienti si sentono di appartenere ad un determinato brand, è molto difficile che lo abbandonino se ne condividono i valori portanti. E quando i clienti sono fidelizzati e il fatturato cresce, anche i grandi investitori continuano ad investire.
Diversità e inclusione nell’era dei social
Oggi l’inclusione passa necessariamente anche dai canali social ed è proprio qui che le grandi aziende stanno promuovendo campagne pubblicitarie più inclusive: da un lato, vogliono coinvolgere i nuovi consumatori – ovvero la generazione Z che è la “padrona” dei social – dall’altro vogliono mostrare il loro modello di business, svecchiato dai preconcetti del passato e slegato da ogni tabù di genere.
Senza dimenticare che le persone con qualche forma di disabilità rappresentano un mercato più grande della Cina – 1,85 miliardi di persone – e 1,9 trilioni di dollari di reddito disponibile annuo; una grande fetta di consumatori che non può e non deve rimanere escluso.
L’importanza della cultura aziendale
Tutto si può ricollegare alla cultura aziendale: l’azienda per poter diventare di tutti deve attuare un processo capace di coinvolgere tutti i livelli e i profili professionali dell’organizzazione. H&M lo scorso anno, per esempio, per promuovere i temi dell’inclusività, ha nominato Helena Helmersson come Ceo. La prima figura esterna alla famiglia che ha assunto tale carica. Inoltre, un’azienda inclusiva è percepita come più moderna e conquista un maggior livello di fiducia dei clienti e dei finanziatori, con relativo aumento di fatturato.
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